mercoledì 21 agosto 2013

Meeting di Rimini: Lunedì



La mattina alle 7,30 messa nella vicina parrocchia. La quasi totalità sono giovani volontari del Meeting o comunque partecipanti. Sì, anche questa è quell'Italia clandestina, giovani che nelle loro realtà o parrocchie magari si fatica a notare, ma che quando fanno numero stupiscono, perchè vedi una qualità altra, una attenzione e un rispetto per il sacro altrimenti scomparsi. Le ragazze vengono in chiesa, alcune, con i pantaloncini short, con le tessere di volontarie al collo, i ragazzi con le magliette, giovani come tutti gli altri, che per strada non distingui, ma che si alzano presto al mattino, magari dopo aver fatto le ore piccole la notte precedente, si inginocchiano fino al Padre Nostro, salutano con reverenza l'eucarestia, non impongono nulla e non si lasciano imporre, non si vergognano e non ostentano.


Mia moglie al mattino va al mare con Francesco, io prendo l'autobus e vado alla Fiera. Sono in coda per entrare con quarantacinque minuti di anticipo, per fortuna all'ombra. Ma non c'è la coda degli anni passati: ricordo attese eroiche sotto il sole a picco della folla che riempiva la piazza dell'ingresso fino a oltre le fontane.

Alle undici e quindici, come tutti i giorni, ci sono quattro incontri in contemporanea. In D5 c'è un certo Tianye Wu, un cinese. Suppongo che parlerà della persecuzione della Chiesa in Cina. Mi interesserebbe come anche la lettura del processo a Gesù del rabbino Weiler: l'ho già sentito parlare ed è stimolante, non lo condivido su tutto ma è stimolante. L'unico che non mi interessa è un incontro sullo sport, calcio e mountain byke, e forse sbaglio. Ad ogni modo a qualcosa si deve sempre rinunciare, perciò vado all'incontro politico in sala Neri (la sala Neri è quella dedicata appunto alla politica, di solito). C'è il ministro Zanonato, Castellucci di Autostrade Italia, De Santis del Conai, Giordo di Arlenia Aermacchi, Recchi dell'ENI, Valeri della Deutsche Bank. Sguardo d'insieme sulla situazione dell'Italia nel contesto internazionale: va bene, siamo d'accordo, il problema dell'Italia è l'organizzazione, la paralisi burocratica e amministrativa, l'impossibilità di prendersi responsabilità e il rischio di essere considerati responsabili per qualunque minima iniziativa. Non c'è dubbio, il problema è quello. Quindi? Zanonato chiede indicazioni concrete e non analisi generiche: mi alzerei io per raccontargli una serie di inutili e ridondanti adempimenti concreti facilmente eliminabili, avrei una piccola lista di osservazioni. Ma non c'è spazio per il confronto e anche qui stupisce come si possa essere in disaccordo su tutto e poi alzarsi, sorridersi e dire: ci siamo capiti. Ma capiti su cosa? Che abbiamo fatto una bella passerella? A che pro?

Mi ha raggiunto un medico di base, collega di mia moglie, uno di sinistra in esplorazione. Tante gnocche qui, commenta. E poi Formigoni. Bah. Se Formigoni ha fatto o non ha fatto le vacanze a spese di Daccò mi sembra davvero un problema secondario. Di fronte ad un paese in movimento, di fronte al rischio di una stagnazione non di qualche mese o anno, ma epocale, mi sembra davvero un argomento strumentale. Mangiamo ad uno stand: lui risotto, io macedonia di frutta.

Poi ci vediamo la mostra sull'alimentazione: molto deludente. Circa diecimila anni fa in diverse parti del mondo l'uomo passa all'agricoltura. Una rivoluzione enorme, di fronte alla quale tutto sommato il cristianesimo, l'Islam, la rivoluzione francese e quella russa, la shoha e i gulag, sono poca cosa, una rivoluzione che viene descritta lasciandola senza nessun tentativo di risposta, ma senza neppur porre la domanda sulla possibile causa. Va bene, ad un certo punto gli uomini hanno iniziato a seminare il grano (nella Mezzaluna Fertile tra Tigri ed Eufrate), il riso (in Cina) e il granturco (in Sud America) ed è sorprendente che l'abbiano fatto grosso modo diecimila anni fa, quando la nostra specie girava per il pianeta già da almeno centoquarantamila-centonovantamila anni, e non ci si domandi perchè. Sono passati dalla cultura della caccia, la cultura del gratuito, della sorpresa, della solidarietà, alla cultura del sacrificio. I cacciatori non sacrificano agli dei, li ringraziano invece per l'animale che gli dei offrono a loro. Gli agricoltori sacrificano, perchè gettano nella nera terra il seme che potrebbero mangiare e ringraziano perchè il seme germoglierà e verrà l'acqua, ma non troppa, e non verrà l'uragano, né la grandine. Gli agricoltori pagheranno ai cacciatori il diritto ad avere una terra preclusa, propria, una proprietà privata. Di tutto questo nella mostra non c'è traccia, solo qualche considerazione buonista, un po' da scout, da Commercio Equo-Solidale, da cattolici-sinistrati sulla prossima ventura scarsità di risorse e d'acqua e sulla percentuale di suolo coltivato.

Alle quindici rinuncio con un certo dispiacere ad ascoltare Doninelli in D5 che parla di teatro e vado alla conferenza sulla libertà da un punto di vista filosofico in sala Neri, Costantino Esposito modera Eugenio Mazzarella e Salvatore Natoli. Mazzarella è molto monotono nel parlare, sono grandi concetti ma dà quasi l'impressione di sforzarsi ad evitare che dalla voce traspaiano emozioni. Natoli ho l'impressione che giochi ad approcciare a concetti condivisibili da una prospettiva per la quale dovrebbero avere tutta un'altra considerazione. Noi siamo liberi di fare qualunque scelta, siamo anche liberi di andare contro la nostra natura, ma il prezzo delle scelte contro natura è la nostra auto-distruzione. Ma allora che libertà è? Ma poi, davvero, tante discussioni sulla libertà sono solo teoriche, perchè in teoria siamo liberi di fare qualunque scelta, ma la vita pratica è fatta di bollette da pagare e limiti socio-economici per i quali la nostra libertà di scelta si riduce a ben poco. Perchè alla fine la libertà può essere solo libertà di fare quello che si vuole, qualunque altra libertà è un giro di parole. Quindi il problema non è tanto in cosa consista la libertà, ma cos'è ciò che si vuole davvero. Chi sono io, cosa voglio per me, qual è la strada per la mia felicità, tutto questo viene prima e pone le condizioni per un esercizio reale della libertà: la verità vi farà liberi.

Finita la conferenza ho una decina di minuti e mi metto in fila per acquistare i biglietti per lo spettacolo ispirato al romanzo di Chesterton, Manalive. Fatica sprecata perchè è tutto esaurito per entrambi gli spettacoli. Adesso è chiaro perchè per il monologo sulle Confessioni di Agostino abbiamo trovato posto! Mi fa anche piacere che pian piano anche i ciellini abbiano scoperto il grande bevitore: quando all'università leggevo estasiato La Sfera e la Croce oppure L'Osteria Volante, mi guardavano come un animale strano.

Alle diciassette in D5 Simoncini (insegna diritto costituzionale a Firenze) modera un dibattito tra Weiler, Maduto (Ministro per lo Sviluppo del Portogallo) e Carozza (docente di legge, USA) sui discorsi sociali di Benedetto XVI. Come al solito Weiler è molto stimolante e preciso, ma io resto sempre stupito della distanza tra ciò su cui in qualche modo si va a concordare sul piano teorico e ciò di cui invece si discute con i politici. Perchè anche ammesso che i politici si invitino per pagare dazio, per tenerseli buoni, per leccaculismo infine, il punto è perchè li si debbano tenere buoni. Se lo scopo non è, prima o poi, fare passare le nostre tematiche, a che prò? E se alla fine a me non importa molto di ciò che fanno gli altri, a condizione che io abbia la libertà di fare ciò che voglio io, e se questa libertà in qualche modo, ammettiamo anche con qualche compromesso, ma alla fine non è pura finzione, ora, questa libertà è ciò per cui si deve lottare senza se e senza ma, senza tregua, sapendo che o si torna con gli scudi o sopra! Meglio litigare apertamente con un politico facendogli sapere quali sono i punti irrinunciabili, piuttosto che ingraziarselo all'infinito senza portare a casa nulla. Ma son tutti convinti che ciò che si sta facendo è ciò che si deve fare.

Torniamo in albergo per cena. Nella parrocchia vicina hanno messo in scena un monologo basato sul libro di Erri de Luca, In Nome della Madre. Non è male, belle musiche, De Andrè resta un grande, sonorità Yiddish. Ma alla fine non capisco come si faccia a far passare, in una parrocchia oltretutto, letture così aberranti della figura di Maria. Come diceva Maritain: uomini dal cuore duro e dalla testa tenera. Guardiamo con la stessa indifferenza i migranti che affondano sui barconi e gli intellettuali che propongono visioni della vita e di Dio incompatibili con la ragione e con qualunque anche pur minima esperienza religiosa.

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