sabato 17 agosto 2013

Meeting di Rimini: la vigilia


Ebbene siamo a Rimini per il Meeting di Comunione e Liberazione. Io, mia moglie e il figlio più piccolo.
Siamo partiti verso le 16,30. Ho lasciato mal volentieri la mia casa: l'anno scorso abbiamo aggiunto il cappotto sui muri, qualche centimetro di polistirolo che, sommato ad altre precauzioni, è un'ottima difesa dal caldo estivo. Il sole picchia cattivo, ma dentro si respira.
Durante il viaggio abbiamo cantato le vecchie canzoni di CL: Il tempo perduto non si ritrova mai, ed io che ho perso tempo ho perso la mia vita.

L'hotel è a Viserba, sul mare, un tre stelle superiore, scelto perchè ha un menù senza glutine. Appena scesi dall'auto ci investe l'aria calda dell'asfalto, insieme con la folla dei forzati delle vacanze. Donne abbronzatissime salgono dal mare con la pelle più secca di una pergamena, icone della sofferenza senza scopo.
Il personale è molto cortese, la stanza ottima. La cena viene gustata soprattutto da mio figlio, per il quale è una festa poter mangiare di tutto e non dover spiegare ogni volta che il glutine sta nel frumento e non nel riso. E neppure nel latte.
La capo cameriera si chiama Virginia, si presenta e ci chiede che cos'è alla fine questo Meeting, perchè dice di aver notato che molti hanno prenotato con schemi simili, di mezza pensione dice, e le hanno spiegato che sono il popolo del Meeting. Non c'è dubbio, dal punto di vista turistico il Meeting è l'ultima fiammata di una estate che corre rapidamente alla propria conclusione.
Dopo cena facciamo ancora quattro passi sul lungomare: tra la folla ci saranno anche molti per il Meeting, ma non si distinguono dagli altri. Il turismo di massa, proletario, di Rimini, i forzati delle vacanze che scappano dai loro appartamenti, obbligati a riempire il tempo libero con la vacanza. Come odio questo vuoto pieno di nulla, la frenesia del divertimento, i negozi pieni di luce, i giovani impazienti che cali la notte per infilarsi nelle discoteche.
Tante minigonne, tanti pantaloncini corti e magliette scollate, tante tette al vento, tanta cellulite e pelle rovinata dal sole, o al contrario pelli candide da tintarella di luna, per scelta, intolleranza al sole o ferie ritardate? Poche belle donne nel complesso, forse una su trenta o quaranta merita un secondo sguardo. Bambini, cani e ambulanti, acconciatrici africane, artisti di strada.
Gente che fugge impaurita dal rischio di restare sola con sé stessa e di guardarsi in faccia o dentro, peggio, che si agita per arrivare a notte stanca abbastanza da buttarsi nel letto e dormire un sonno pesante e senza sogni. L'occhio mi scivola su di uno specchio e mi riconosco identico a loro: pantaloncini al ginocchio, da vacanziere beota, la pancia a botte che odio ma non riesco a sconfiggere, la faccia distratta e indifferente, il colorito sano e soddisfatto.
Nella portineria dell'albergo un avviso rende noti gli orari delle messe e mette in guardia dall'arrivare con qualche minuto di anticipo. Continuiamo perciò la passeggiata fino alla chiesa. La piazza antistante è piena di gente dai vestiti succinti a variopinti che vocìa, scherza, ride.
Sono le dieci di sera ma la chiesa è aperta, il che mi impressiona positivamente. E dentro un ricercato gioco di luci crea una atmosfera in penombra equilibrata tra l'azzurro che scende dall'alto e il giallo di alcune lampade basse. Pochi fedeli stanno dentro in silenzio, tre o quattro persone in tutto. Da fuori il rumore entra violento, tanto che sembra di essere ancora in piazza. Un paio di croci nere pendono dall'alto soffitto. Faccio fatica a capire dove sia il tabernacolo.
Questa è l'architettura della decadenza, la migliore spiegazione dell'estinzione della fede nel popolo italiano. Soldi buttati per non dire nulla, per non significare nulla, forse un simbolo nero, quelle croci là, ma null'altro che un simbolo. Lo immagino il parroco, quello che nel volantino della portineria invitava a presentarsi alle celebrazioni con cinque minuti di anticipo, lo immagino guardare soddisfatto i giochi di luce, ascoltare i rumori della piazza quasi fossero la realizzazione di una qualche messaggio conciliare che invita la chiesa a far entrare il mondo, o ad andare nel mondo. Così ecco che la chiesa, da luogo sacro, separato, è divenuto un locale per l'assemblea, uno spazio feriale, insignificante nelle ore tra una celebrazione e l'altra. Uno spazio disorientato: questo edificio in particolare è rivolto a sud ovest, se ho fatto bene i calcoli. Un edificio senza alcun orientamento, né esterno né tantomeno interno, perchè dare troppo risalto all'eucarestia e al tabernacolo potrebbe, si sa, offendere i fratelli separati.
Torniamo in albergo. Mi sento fuori posto. Mia moglie gode se non altro di essere liberata dagli oneri della casalinga. Io non sono affatto attratto dalla vacanza. Il tempo libero è il tempo sottratto al negozio, alla frenesia, dovrebbe essere il tempo dedicato a sé, alla ricreazione della propria unità interiore, a rimettere a fuoco la propria identità e i propri obiettivi. Questa full immersion nella distrazione che copre tutto come una coltre di nebbia spessa e maleodorante, al contrario mi opprime.
Domani il Meeting comincerà con l'eucarestia, alle 11,15. Le prime giornate delle passate edizioni mi sono rimaste impresse come un incubo, fin dalle prime edizioni, quando giovane studente arrivavo in treno e in autostop. Sono passati gli anni, sono cambiate tante cose, ma il caldo torrido, la gente accalcata, nervosa e sudata, ansiosa nell'attesa che si aprano le porte di vetro per lanciarsi ad occupare un qualunque posto non periferico, tutto questo non è cambiato.
Mi preparo alla penitenza di domani.

1 commento:

  1. la vacanza è il tempo del ristoro, un tempo da passare insieme con le persone amate che, forse durante il resto dell'anno, non ci è permesso: non è il tempo della distrazione, ma il tempo nel quale si può mettere a fuoco ciò che conta

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