mercoledì 24 luglio 2013

Forma e Materia

(Da La Relation Infinie, di Daniel Vigne)

L'attenzione accordata alla forma dell'opera d'arte, cioè all'atto sintetico dell'artista, non implica assolutamente l'oblio della materia sensibile che egli elabora."È evidente che il valore di un'opera dipende in egual misura dall'una e dall'altra." Ma la relazione tra questi due termini è complessa, perchè la materia, come afferma Aristotele, non è mai del tutto informe: il rapporto tra la forma e la materia è sempre, nella realtà, il rapporto di una forma con un'altra forma meno elaborata. Così quando l'artista non riesce ad assoggettare completamente la materia della sua opera, c'è "una duplicità di forme o molteplicità di forme" piuttosto che opposizione tra ciò che è formato e ciò che non lo è.

Ogni materia è dunque significante, ed è giustamente per questo che l'arte non può servirsi di qualunque materia: alcune ne sono indegne. All'opposto le "materie preziose possono essere ricercate per sè stesse, per la loro bellezza", per il loro significato formale. Così l'oro, che "la sua somiglianza con il sole, il suo dono inesauribile di luce, la sua rarità, [...] rendono desiderabile in assoluto". Così le pietre preziose, i metalli rari: "Argento lunare, zaffiro dove dorme il nero azzurro delle notti d'estate, l'opale roseo del crepuscolo,rubino o sangue di un sole morente, [...] diamanti simili alle stelle lontane", dice un bel manoscritto inedito che continua: "I materiali preziosi risolvono il dramma umano in similitudini stellari: è perciò che lo spirito vi si riconosce e li ama; è perciò che sono belli."
Nei tempi antichi, l'arte venerava tali materiali; ma l'interesse che si accordava loro è sfumato. "Gli idoli lavorati nella giada e nei metalli rari, [...] l'oro del fondo dei mosaici e delle pitture primitive, sono testimoni di questa concezione sontuosa", prosegue ancora l'autore. "In seguito l'arte si è purificata di questa dualità, scegliendo la forma sola, sulla quale il genio creativo esercita un potere più diretto, e non domanda altro alla materia che di sostenere la forma, di fondervisi e di farsi dimenticare."
L'arte avrà dunque, nella sua storia, accordato sempre più importanza alle forme, dimenticando quella delle materie. Ma questo movimento non è un progresso, in quanto conduce ad una dissociazione dalla quale Lanza vede spuntare il malanno del Rinascimento: quello di un "esteriore magnifico placcato su una sostanza di tutt'altra natura. [...] Ora, nulla porta meglio alla degradazione della sostanza che tradurla in forme false e caricarla di ornamenti posticci".
Il barocco aggrava questa deriva, e a Lanza  ripugna ammirare il gesso dipinto delle "patacche barocche", materia volgare falsamente divinizzata. "Ho trovato la vera definizione del barocco: è cacca dorata" annota nel 1926 con severità. E già nel 1925: "il barocco: escremento dello spirito". Quando la materia di un'arte perde la sua propria vita e diviene un semplice materiale al servizio di una idea, non è il senso stesso di quell'arte che è minacciato? Dall'icona tradizionale ai decori in trompe-l'oeil, l'arte sacra si svuota della propria sostanza. "L'oro barocco: profano, enfatico, frivolo, lussuoso; lo si espone per stupire il popolo. L'oro bizantino: misterioso, miracoloso, magico, posto in sottofondo per significare le meraviglie dello spirito."
Per compensare l'impoverimento del proprio messaggio, l'arte barocca radoppierà l'effetto di superficie, cedendo alla tentazione della "sovrabbondanza dei mezzi espressivi sui bisogni della sensibilità". Esso apre nello stesso tempo la strada alla corrente del romanticismo, il quale si affranca dal rispetto della materia così come dalle esigenze della forma, ponendo al di sopra di tutto un "contenuto" dell'opera d'arte identificato con il sentimento soggettivo che essa risveglia. Il romanticismo è agli occhi di Lanza "quella teoria che disprezza la forma in nome del contenuto", facendo nascere opere enfatiche, "sproporzionate fino al ridicolo, dal contenuto generalmente banale e puerile". È, dice l'autore nel 1934, "questa malattia estetica che consiste nel confondere il piacere che risulta dagli oggetti presentati con quello, veramente estetico, che nasce dalla loro forma".

Giudizio drastico, ripreso da Luc Dietrich per il quale "i romantici sono coloro i quali hanno cominciato a non sapersi contenere". Nel 1942 Crysogone considera ancora che i romantici non hanno visto nell'arte che "uno spandersi della persona e dell'emozione". Ma nel 1980, la sua analisi si tempera; "Cosa pensate dei romantici?", domanda Renè Doumerc a Lanza, il quale risponde: "Sono stato ingiusto con loro nel Dialogue de l'amitié scritto con Luc. I romantici sono estremamente attenti alla forma. [...] C'è tra loro uno scrupolo difficile da credere a non uscire dalla tradizione classica." [L'autore porta l'esempio di Giacomo Leopardi]

Al contrario, l'arte moderna in ciò che ha di volontariamente bizzarro e provocatorio sarà sempre percepita come una negazione della forma. Così il "kitsch è un romanticismo allo stato puro, il lato piacevole, seducente della cosa è al massimo, l'interiore formale è ridotto a nulla". Per molte pagine il Dialogue de l'amitié denuncia "il disprezzo della forma, dal quale deriva la bruttezza del secolo". "L'uomo d'oggi si distingue da tutti quelli che abbiamo conosciuto finora per la sua mancanza di rispetto della forma", dichiara Crysogone. "Alla forma una, pura, semplice, chiara, compiuta, l'uomo d'oggi preferisce la forma multipla e frammentaria, facile e scostante, affrettata e balbettante, la quale esprime naturalmente il disordine interiore nel quale si dibatte".

(Daniel Vigne, La Relation Infinie, Cerf, Paris 2008, ppgg.128-131, traduzione mia. Le note sono state tutte omesse, si tratta in gran parte di riferimenti a parti inedite dei Viatici. Curiosa la nota alla definizione del barocco come "escremento dello spirito", di seguito Lanza continua con una espressione che Vigne ritiene intraducibile in francese: "Color merdastro, cornicioni a stronzoli")


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