domenica 10 febbraio 2013

Surge et Extende

Prima Scena: il palcoscenico è vuoto, alle pareti spoglie sono appoggiate panche di pietra.
Sulla panca di destra sono seduti un mendicante e un servo, su quella di sinistra un pescatore e un intellettuale.

Il mendicante si alza e si porta al centro della scena, dove comincia a parlare guardando per terra, come riflettendo tra sé.

Il Mendicante:
Noi siamo un popolo dalla dura cervice che si smarrisce lungo le proprie strade e Lui è un Dio geloso che punisce le colpe dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione.
Chi abbia peccato dei miei padri non lo so, so che sono nato con la mano paralizzata, manum aridam. L'Altissimo è giusto e misericordioso e vero è il suo giudizio, lo so e ho studiato la sua legge con il massimo impegno per tutta la vita. Nessuno insegna la Torah ad un peccatore e massimamente nessuno la insegna ad un peccatore povero, pertanto ho dovuto fare da me, ascoltando avidamente chi parla alla sinagoga o di nascosto le lezioni dei rabbi ai figli dei sacerdoti.

Io lo so che sono un peccatore, figlio di una stirpe di peccatori e che giusta è la sua punizione. Ogni sabato vengo alla sinagoga e dal fondo ascolto le scritture e le spiegazioni: non ho mai sperato che potesse servire a risanare la mia mano, ma almeno ad evitare altre trasgressioni così gravi da condannare un uomo ad essere un reietto fin dal grembo della madre.
Bisogna aver vissuto la maledizione dell'Altissimo sulla propria pelle per sapere quanto è pesante, quanto gli uomini stessi, gli uomini tutti si applichino per renderla insopportabile, uomini e donne pieni di santo zelo per completare la punizione divina. Gli scribi con le loro lunghe vesti e il loro giudizio preciso, esatto, spietato e le donne con le loro risatine che sfuggono via come rondini a primavera lanciando occhiate pungenti.
Io sono rimasto attaccato alla legge, ho sopportato le risa e le umiliazioni rendendo il mio volto duro come pietra, perchè Egli è misericordioso e la sua collera non dura per sempre. Ho vissuto la mia vita in attesa della sua venuta costretto dal mio corpo disgraziato a ricordare ogni istante che non mi salvo da me, che sono perduto se Egli non viene a salvarmi.
Questa mattina ero pieno di speranza quando il rabbì di Nazareth è entrato nella sinagoga. Sapevo che da lui esce una potenza che risana e scaccia i demoni, so che il rabbi perdona i peccati.
Ma sapevo anche che gli scribi lo tengono d'occhio sospettosi che sia un altro imbroglione, uno che approfittando della nostra ansia e sete del Messia sovverta le leggi e porti alla distruzione del tempio. Io lo sapevo e speravo che non facesse nulla per adirarli.
Perciò quando mi disse: Surge in Medium, alzati e vieni al centro, fui preso dall'agitazione. Poi si gettò a testa bassa nella trappola che si era preparato da solo: Licet sàbbatis bene facere an male? È lecito di sabato fare del bene o fare del male. O disgraziato di un nazareno, ma per quale ragione vuoi tu sfidare e irritare i sacerdoti e gli scribi? Di sabato non è lecito fare del bene né del male e poi io non ho fretta, torno domani, fammi questo favore, verrò dovunque tu sia, ma non metterti nei guai. Quella è gente che non perdona e non dimentica, è gente che taglia il capello in quattro e sa sempre cosa ha in testa l'Onnipotente, conosce i suoi pensieri come la strada di casa.
Perchè loro rispettano il sabato e riposano come Egli ha riposato il settimo giorno, per cui io vengo da anni tutte le settimane alla sinagoga con la mano paralizzata e me ne torno con la mano paralizzata. Loro il sabato non fanno nulla, non risanano e non perdonano. Il punto purtroppo è che nei giorni lavorativi sono troppo indaffarati per fare ciò che non si deve fare il sabato, così loro, che sanno tutto e scrutano i pensieri del Dio di Mosè, non guariscono e non perdonano né di sabato né gli altri giorni.
Il nazareno invece fa sempre del bene, tutti i giorni, e non fa mai del male. Non aspetta il giorno giusto, non teme di essere inopportuno, non attende l'occasione per guarire e perdonare. Perciò io piango per lui.

Il servo:
il mio lavoro è tenere pulita la sinagoga e provvedere alle incombenze e alle necessità seguendo le direttivi degli scribi.
Lo faccio con scrupolo e attenzione onorato di poter essere utile e dare gloria al popolo di Israele. Conosco tutti e per tutti preparo un posto, per i notabili e gli storpi, per gli uomini e le donne, ciascuno al proprio posto, si sa.
Sono fortunato a non essere nato nei peccati, come il mendicante, ma un rimorso mi consuma il cuore. Temo lo sguardo dei farisei quasi leggessero dentro di me ciò che nascondo con cura. Conosco la legge, so bene che è scritto nella pietra il divieto e so che se scoperti, saremmo lapidati, io e la moglie di Jacob lo zelota.
Non riesco neppure a spiegarmi come abbia potuto iniziare la nostra passione, come, passando davanti alla sua casa per venire alla sinagoga tutti i giorni, abbia iniziato a pensare a lei, come abbia iniziato ad accorgermi dei suoi occhi di cerbiatto nell'oscurità delle finestre, come abbia iniziato a fantasticare sulle sue notti sola nel letto poiché il marito da anni è in fuga dai romani che lo braccano nel deserto come una bestia, come abbia iniziato a confrontare le sue membra calde ed appassionate con quelle di mia moglie. Non so neppure come non riesca a smettere, come ogni giorno metta a rischio la mia e la sua vita per l'estasi delle sue labbra e il calore della sua pelle.
Quando questa mattina ho incrociato lo sguardo del rabbi, prima che guarisse il mendicante dalla mano paralizzata, ho avuto l'impressione che sapesse tutto di me e mi perdonasse.
La sinagoga era stracolma, divisa in due partiti: da un lato gli amici del maestro, dall'altro gli scribi, gli alleati di Erode e i farisei, insomma tutti quelli che contano. Come due squadre pronte a scagliarsi gli uni contro gli altri, aspettavano solo l'occasione. Ma quel tale li ha spiazzati: Licet sàbbatis? Già, bella domanda, suppongo che abbia preso in contropiede anche i suoi discepoli, pronti ad indignarsi per l'ipocrisia dei farisei, la dottrina vuota degli scribi e i compromessi con il potere degli erodiani.
Avevano tutti troppe cose a cui pensare per pensare al mendicante: io fui preso dal terrore che si perdesse in una disquisizione sui formalismi della legge e che lo lasciasse lì con la sua mano arida; ero spaventato perchè era proprio partito male. D'altra parte di quella mano non interessava nulla a nessuno: cercavano tutti un motivo per mettersi di qua o di là, per dire evviva o crocifiggi. Ma io ero angosciato per il mio peccato e avevo paura che lui restasse paralizzato e io condannato. Avrei voluto che andassero ad azzuffarsi altrove tutti, i suoi discepoli e gli altri, che semplicemente non si mettessero in mezzo.
Io volevo solo, volevo con tutte le mie forze, volevo soltanto che il rabbi guarisse la mano del mendicante e perdonasse i miei peccati.
È stato fantastico vedere come abbia seguito la propria strada senza svoltare a destra né a sinistra, ha buttato lì quella domanda senza risposta ed ha fatto ciò che doveva fare: ha guarito e ha perdonato.

Il pescatore:
misericordia io voglio e non sacrifici. Il rabbì oggi ha mostrato che il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato e che il figlio dell'uomo, che è anche figlio di Dio, è padrone del sabato, perchè Colui che ha fatto le leggi è più grande delle leggi da Lui stesso stabilite.
Noi lo abbiamo seguito nella sinagoga, sapendo bene che i potenti si erano dati appuntamento per fargli l'esame e condannarlo. Noi tutti pendevamo dalle sue labbra per imparare da dove gli viene la sapienza con cui confonde i sapienti, tutti noi vogliamo essere come lui, per andare a predicare il Regno con le sue parole. Ma abbiamo dovuto ammettere, io devo ammettere che non ho capito. Da dove gli è venuta quella domanda, Licet sàbbatis? Chi gliel'ha suggerita? Come se i giudici decidessero di sorvegliare un malfattore per non condannarlo a torto e quello andasse a rubare loro in casa! Come se una moglie seguisse sospettosa il marito e quello le portasse l'amante nel letto coniugale.
Non è lecito, non c'è alcun dubbio, è scritto nella pietra ed è proprio perchè non è lecito che ti stanno osservando, rabbì. Lo ammetto a malincuore: non ho capito la sua logica, non ho capito la sua strategia, la tattica, l'obiettivo. Se voleva convincere qualcuno, non c'è riuscito. Se voleva farsi dei nemici, poteva scegliere un argomento migliore dal punto di vista politico, un argomento che gli consentisse di farsi nemici ma anche amici. Con quella domanda si è fatto tanti nemici e ha gelato i propri amici.
Non ho capito, nessuno di noi ha capito neppure come abbia fatto a risanare il paralitico, e la cosa ci fa arrabbiare. Sì, perchè lui ci manda a predicare il regno, ma non ci insegna come fare miracoli e si sa che la nostra predicazione sarebbe molto meglio accolta con qualche miracolo ogni tanto. Non l'abbiamo perso d'occhio un istante, da quando ha detto: Surge a quando ha ordinato: Extende, l'abbiamo seguito con gli occhi incollati addosso e non abbiamo capito.
Pensa un po', se anche noi potessimo dire Surge … Extende, i nostri discepoli si moltiplicherebbero come cavallette, potremmo espanderci agli orizzonti della terra, arriveremmo anche a Roma e anche oltre il grande mare. Ma non c'è verso: ce l'ha fatta sotto gli occhi, ha detto Extende e quello ha disteso la mano.
I suoi nemici, che sono tra loro stessi nemici, si sono accordati sulla necessità di farlo fuori e mentre loro complottano, noi ce ne andiamo confusi, incerti, impacciati. Eravamo pronti a sfoderare le spade, eravamo pronti a gettarci contro i potenti che divorano le case delle vedove e vendono Israele per un piatto di lenticchie. Lui non ci ha ha chiesto nulla, ha fatto tutto da sé: a noi non è rimasto altro che guardare, non capire, ma fissare, ricordare per raccontare un giorno e forse, allora, capire. Chissà.


Il fariseo:
Ascolta Israele, il Signore è il tuo Dio, il Signore è uno solo. Shemà Israel Adonàj Eloim, Adonàj Ehad.
Il popolo di Israele, i figli di Abramo e Giacobbe, hanno ricevuto la legge scritta sulla pietra da Dio stesso, perchè fosse scritta con altrettanta forza nei loro cuori, e pendesse tra i loro occhi come pendaglio e restasse nella loro mente come un sigillo per sempre. Ma generazione dopo generazione essi fanno ciò che è male agli occhi del Signore, alzano i pali sulle alture, si costruiscono idoli e si prostrano dinanzi a loro, fanno passare i figli e le figlie nel fuoco e sui primogeniti gettano le fondamenta delle loro città.
Perciò Dio si è adirato con noi e ci ha disperso per la terra, ci ha reso piccoli più di tutti i popoli della terra. Non abbiamo altare né luogo dove presentargli un sacrificio gradito, i romani profanano con la loro presenza e le loro leggi la terra e il santuario.
Noi siamo tornati al Signore degli eserciti con il cuore umiliato, affranti e oppressi dal dolore, noi che non potevamo sedere sulle rive dei fiumi di Babilonia cantando le canzoni di Sion. Noi portiamo il peso di tutti i peccati dei nostri padri e dei nostri fratelli, ogni giorno versiamo lacrime amare perchè il popolo non rifiuta con forza le lusinghe degli stranieri, non spezza gli idoli ma li compone e li accorda di fianco al Santo di Israele. Soggiogati dalla forza e dal potere imperiale si allontanano dalla legge e si prostituiscono gaudenti.
Noi, solo noi, i farisei, i puri, osserviamo impeccabili tutti i precetti della legge, a noi, solo a noi, sta l'onere di mantenere viva la memoria del Santo di Israele. È un peso che talvolta schiaccia e opprime come un incubo in una notte senza luci.
Se Egli ci parlasse ancora, se mandasse tra di noi i suoi profeti come al tempo andato, se tornasse Elia a spazzare l'aia con il fuoco. Nel suo silenzio noi resistiamo duri come pietra, motivo di risate e scherzi non solo per i romani e gli erodiani e i traditori, ma per i nostri stessi figli. È mutato il Suo pensiero, la Sua attenzione, il Suo amore per il Suo popolo? E se è mutato, che resta a noi se non scomparire come il fumo spazzato via dal vento del deserto?
Non possiamo dubitare della Sua costanza, non possiamo pensare che Egli non rivolga ancora a noi il suo Volto misericordioso: tornerà ancora ad amare il Suo popolo, respingerà i nostri nemici e li schiaccerà con il Suo piede.
Dobbiamo invece spaventarci per ogni dubbio che si presenti al nostro cuore, dobbiamo essere certi e incrollabili nella fede, di esempio per tutto il popolo, di riferimento per riportare i dispersi di Israele alle leggi dei padri. Dobbiamo osservare la nostra e l'altrui condotta, dobbiamo togliere di mezzo a noi il peccatore, perchè Egli veda il nostro zelo per il Suo nome e si ricordi di noi.
Il nostro compito è pesante, impossibile da portare per uomini comuni, appesantito oltremodo dalle continue tentazioni del Maligno, dai falsi profeti che pretendono di portare nuove interpretazioni e nuove letture della legge. Alcuni, come il rabbi di oggi, sono pericolosissimi, hanno la conoscenza di arti magiche, oscure, con cui imbrogliano gli ignoranti, i poveri di spirito. Bestemmiano e insegnano ad infrangere la legge, a piegarla ai propri comodi.
Noi, i perfetti, dobbiamo vegliare perchè i falsi profeti non ingannino il popolo. Altresì dobbiamo vigilare perchè il popolo resti fedele alla legge. È difficile, è così difficile controllare e sorvegliare chiunque perchè di nessuno ci si può fidare, di nessuno.
Neppure del servo della sinagoga mi posso fidare: l'ho visto entrare nella casa di Jacob di nascosto, per giacere con la moglie di lui, sono convinto. Jacob è un eroe per la nostra nazione, da anni vive nel deserto per combattere contro i romani, ha mostrato a tutti che il potere imperiale può essere sfidato. Commettere adulterio con sua moglie perciò non è solo contro la legge, è anche contro la speranza del popolo.
Li sorveglieremo e li coglieremo in fragranza.


Seconda scena: un mese dopo, stesso ambiente, vuoto. Alcuni uomini entrano portando un paralitico e lo appoggiano in un angolo sulla destra. Dalla sinistra entra il servo della prima scena, scopa e parla tra sè.

Il servo:
è giunto il tempo di salire al Tempio, a Gerusalemme, per chiedere perdono dei miei peccati, all'altare del Dio di Abramo. I palpiti, i sussurri, i fremiti e i gemiti della mia amante mi seguono giorno e notte. Quando la stringo tra le braccia e lei si inarca ad ogni carezza, con il fiato sospeso ascolto i passi sulla strada per la paura di essere sorpresi. Mia moglie è un'ombra risentita e rancorosa che abita la mia casa, i miei figli fantasmi che si dileguano.
Salirò al tempio e restando in fondo mi batterò il petto: se Egli vorrà perdonarmi mi mostrerà la Sua volontà e la via d'uscita, la via per ritrovare infine la mia vita.
Forse ci sarà anche il rabbi, a Gerusalemme per la festa di Pasqua: se sarà furbo schiverà le trappole dei sacerdoti e guarirà le infermità del popolo e perdonerà. Basterebbe non mettersi di traverso, basterebbe lasciarlo fare, fargli uno spazio tra noi perchè resti sempre qui, perchè nessun altro guarisce e perdona.
Il mendicante guarito il mese scorso per una settimana ha girato il paese mostrando a tutti la sua mano, entusiasta raccontando come e quando era stato guarito, il Surge e l'Extende. Man mano che la gente perdeva interesse ad ascoltare la sua storia, cominciò a capire che con quella mano doveva lavorare e non solo dare spettacolo, così si è scoperto peccatore come tutti. Di chi fu la colpa che nacque paralitico? Non lo so, ma so che anche lui ha ancora bisogno di essere perdonato, e se il rabbi non ci perdona, a nulla valgono scribi e farisei.
Ecco, è tutto pulito salvo quell'angolo. Amico, alzati e consentimi di finire il mio lavoro che domani parto per Gerusalemme.

Il paralitico si alza in piedi, prima incerto, poi freneticamente saltella sulle gambe, infine corre via incredulo.

Il servo seguendolo con lo sguardo: che gente strana abbiamo in Israele!

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