domenica 3 febbraio 2013

Neppure Undici Minuti

 
Neppure Undici Minuti (Femminicidio #21)

Fili, recordare quia recepisti bona in vita tua,
et Lazarus similiter mala:
nunc autem hic consolatur,
tu vero cruciaris.
Luca 17,25


“Una mattina il ragazzino le si avvicinò, chiedendole in prestito una penna. Maria non rispose, assunse un'aria alquanto irritata per l'inatteso abbordaggio e accelerò il passò. La penna era stata soltanto un pretesto per parlarle, perché quando lui si era avvicinato, Maria ne aveva notata una nella sua tasca.”*
Nello stesso istante, seguendo il suo sguardo, anche lui aveva visto la penna e si era vergognato come un ladro. Non aveva più il coraggio per avvicinarla, ogni volta che la guardava rivedeva la penna spuntare beffarda dal suo taschino e sentiva la terra sprofondargli sotto i piedi. Aveva impiegato settimane per trovare il coraggio di avvicinarla, gli sarebbero serviti anni per dimenticare.

Quando seppe che la sua famiglia si sarebbe trasferita da quel paesotto rurale del Brasile  a Rio de Janeiro, si sentì sollevato: non avrebbe più incontrato Maria.
Ma la distanza non servì, anzi in ogni ragazza che incontrava nella nuova scuola, in ogni manifesto della pubblicità, in ogni donna rivedeva la ragazza dai capelli neri e la camminata superba.
La città per Josè non era la città, ma la favela, una delle infinite favelas che circondano le città del Brasile. Per andare a scuola doveva fare il doppio della strada che faceva dal paese dove abitava l'anno prima, ma lui ci andava determinato a studiare, a tirare fuori la sua famiglia, sua madre, le sue sorelle, i suoi fratellini da quel luogo. Determinato anche a ritrovare un giorno Maria, ad avvicinarla con una scusa migliore, a parlarle e a dirle qualcosa di importante.
Dopo il diploma trovò lavoro come cameriere in un ristorante della città. Con il primo stipendio comprò un biglietto per l'autobus e tornò al paese con la scusa di tornare a rivedere la casa dell'infanzia, fece il giro dei vecchi compagni di scuola e raccolse informazioni. Maria lavorava in un negozio di tessuti, sulla strada camionabile.
Nel pomeriggio, quando il sole cominciava già a scendere e la calura era sopportabile, vi entrò e cominciò a gironzolare tra gli scaffali. C'erano tre commesse che lo seguivano con lo sguardo interrogativo, ma non c'era Maria. Un uomo sulla quarantina, il proprietario del negozio, gli si avvicinò chiedendogli se poteva essergli utile. Josè arrossì come dieci anni prima con la sensazione che l'altro si fosse accorto della penna che gli spuntava dalla giacca. Ma l'errore lo aveva preparato, per cui disse che doveva comprare una certa quantità di tessuto per sua madre che non poteva muoversi di casa, così guardarono insieme diversi campioni e discussero dei colori e della trama.
Ad un certo punto, quasi distratto, disse che sua madre gli aveva detto di chiedere alla commessa di nome Maria, perché lei conosceva i gusti della madre e le avrebbe dato il tessuto giusto. Il volto dell'uomo si oscurò all'improvviso e quasi con dolore disse che Maria era partita per l'Europa. Poi, aggiunse come per liberarsi di un peso altri particolari che Josè non avrebbe mai avuto il coraggio di chiedere: uno svizzero le aveva offerto un lavoro come ballerina a Ginevra, le aveva pagato il viaggio e un lauto anticipo. Proprio il giorno prima lei era venuta al paese a chiedere il permesso ai suoi genitori presentando l'impresario che garantiva per la sicurezza della figlia.
Così Josè pianse perché aveva perso per sempre Maria, ormai tra loro c'era l'oceano e scoprì che il sole non era così caldo né il carnevale così spensierato. Sull'autobus che lo riportava alla favela però decise che non poteva rassegnarsi, che un oceano intero non era sufficiente per condannarlo a morte mentre era ancora vivo e scelse di partire.
Non poteva prendere un aereo: neppure lavorando un anno intero avrebbe raccolto i soldi per il biglietto, ma poteva imbarcarsi come mozzo su qualche nave mercantile. Da Rio partivano in continuazione navi cariche di caffè in container per l'Europa e la fortuna aiutò Josè che trovò facilmente un ingaggio su una nave diretta in Italia. Era una nave medio-piccola, con una ventina di uomini di equipaggio. Forse era uno dei suoi ultimi viaggi perché le dimensioni delle navi erano in rapido aumento.
L'arrivo al porto di Genova, dopo una ventina di giorni, lo impressionò: rispetto a quello che aveva visto in Brasile, aveva l'impressione di una città di bambole, piccola, chiccosa, piena di bar dove la gente si siede quieta e, lontano dal porto, anche silenziosa.
Lo ringraziarono per aver fatto solo il viaggio di andata: il cargo che viaggiava pieno dal Brasile all'Italia, tornava in Brasile mezzo vuoto.
Avrebbe voluto prendere un treno, ma con i soldi che aveva non poteva permetterselo. Viaggiare a piedi e in autostop era faticoso, lungo e incerto. Poteva capitare di percorrere centinaia di chilometri in un giorno, e di restare fermi il giorno dopo. Ad ogni modo arrivò al confine svizzero in una settimana, grazie al passaggio di un camionista ucraino. Si intendevano a gesti, l'altro capì che voleva arrivare a Ginevra e lo raccolse al parcheggio dell'autostrada.
Al confine con la Svizzera il camion fu caricato su un treno e la polizia di frontiera controllò i documenti. Josè non sapeva che per entrare aveva bisogno di un contratto di lavoro e non capiva perché i poliziotti discutessero tra loro guardando il suo passaporto. Il camionista che gli aveva dato il passaggio intervenne e disse qualcosa, Josè vide che uno dei poliziotti si allontanava con un foglio in mano nel quale aveva scritto un numero, poi tornò e mise un modulo stampato al computer dentro il passaporto di Josè.
In seguito scoprì che il camionista aveva dato il numero di telefono di un suo amico, il quale aveva assicurato che lo aveva chiamato lui per farlo lavorare nel suo negozio. Sul foglio che gli avevano messo nel passaporto era scritto che poteva stare in Svizzera sei mesi e il nome e l'indirizzo di chi garantiva per lui.
Così arrivò a Ginevra, tra due ali di montagne, raccolta attorno al lago. Una città piena di banche, d'altra parte con il freddo che fa, la gente qui si riscalda contando soldi, pensò Josè. L'amico ucraino del camionista chiarì subito che lo aveva aiutato per fare un favore all'amico, ma lui di lavoro non ne aveva e neppure un alloggio. Finché non trovava di meglio, poteva mettere una brandina nel magazzino, dove lui teneva gli scatoloni del materiale elettrico che vendeva. Altro non poteva fare.
La sera Josè andò subito al locale dove Maria ballava: sedette di fronte all'ingresso, sui gradini di una chiesa e guardò la gente che entrava nel locale con il cuore stretto dall'emozione. Prima arrivarono una decina di uomini, tecnici del suono o con altri incarichi, immaginò Josè. Poi cominciarono ad arrivare le ballerine: le brasiliane spiccavano tra tutte per le loro gambe e il portamento fiero, l'ottimismo che le spingeva comunque ad andare avanti. Poi cominciarono ad arrivare gli spettatori, al braccio delle mogli o delle fidanzate avvolte in calde pellicce. Josè era deluso, si domandava se aveva sbagliato indirizzo, dove poteva essere in quel momento Maria? Rimase al freddo, stropicciandosi le mani e battendo i piedi fino all'orario di chiusura, quando ricominciò la processione in ordine inverso. Le prime ad uscire furono le ragazze dell'est, bionde e diafane come dee distratte e anemiche. Uscivano una per una, raramente in gruppetti di due o tre per volta. Quando uscirono due brasiliane, Josè si alzò e si gettò avanti preso dalla disperazione: desculpe-me, onde está Maria?
Le due ragazze lo guardarono divertite: Maria si era licenziata proprio quella mattina e sembrava che avesse fatto passare un brutto quarto d'ora all'impresario. Josè non capì cosa fosse successo nei particolari, l'unica cosa che fissò fu che Maria non lavorava più in quel locale e non sapeva dove trovarla in quella città fredda e grigia.
Tornò alla sua brandina nel retrobottega dell'ucraino e si sentì solo e sperduto in un paese straniero separato dalla sua famiglia da un mare immenso e dalla sua amata dal destino cieco.
Nei giorni successivi scoprì che in una parrocchia alcuni volontari avevano allestito dei posti leto per i senzatetto, stanchi forse di trovarli congelati al mattino, e che poteva acquistare dei pasti alla mensa della beneficenza, venti pasti per dieci franchi, un prezzo simbolico con il quale però doveva fare i conti. In tasca aveva cento franchi e qualche spicciolo: un franco per notte per dormire, facevano trenta franchi al mese. Dieci franchi ogni venti giorni per mangiare, erano altri quindici franchi. Aveva due mesi di autonomia, grosso modo.
Imparò a mettere via due panini ad ogni pranzo: un panino per la cena, l'altro per la colazione del giorno dopo. La domenica era un problema, perchè la mensa era chiusa, per cui i due panini che metteva in tasca al pranzo del sabato li faceva durare il doppio. Non poteva permettersi di telefonare a casa e neppure un caffè caldo. Poteva soltanto andare in biblioteca.
Alle scuole superiori se la cavava bene, solo che si appassionava sempre a cose futili, senza alcun risvolto pratico, e poi era monotematico. Quando scopriva un argomento vi si gettava come se al mondo non ci fosse altro, con la stessa passione con cui si era invaghito di Maria. La biblioteca tutto sommato era un posto caldo, con alcune precauzioni poteva restarci quasi tutto il giorno. Bastava che al dormitorio della parrocchia si lavasse bene e i vestiti non puzzassero come quelli di un mendicante o un senzatetto. Perchè era chiaro che lui era un senzatetto, era chiaro perchè trasudava disperazione, ma la cosa importante era che non puzzasse, perchè la gente civile e gli svizzeri in particolare sono disposti a tollerare molti difetti negli altri, ma non la puzza.
Così cominciò a prendere confidenza con una sedia e un tavolo e uno scaffale. Per prima cosa si dedicò alla lingua: là nessuno parlava portoghese e si sentiva davvero un deficente a spiegarsi sempre a gesti quasi fosse una scimmia. Prese una grammatica, un libro e partì deciso.
All'ingresso c'era una bibliotecaria, una signora secca e avvizzita, delusa dalla vita o dall'amore, o forse solo una donna che non aveva mai avuto il sospetto che la vita fosse da vivere e non solo da far passare. Lo guardava con commiserazione e freddezza: il fallimento sociale non è mai un caso ma anche un giudizio divino per cui la commiserazione non può andare oltre una tiepida pietà.
In ogni caso era professionale e precisa e sapeva sempre dove trovare i libri che Josè cercava. Lui li leggeva lì, perchè non poteva farsi una tessera non avendo una residenza e quindi non poteva prenderli a prestito.
Nel giro di una settimana leggeva con una certa scioltezza anche se, probabilmente, la sua pronuncia era terribile. D'altronde non aveva avuto alcuna occasione di esercitarsi, quel che sapeva lo aveva letto nelle note di fonetica all'inizio della grammatica, ma una pronuncia si impara dal vivo e lui di occasioni di parlare con qualcuno ne aveva molto poche. Ad ogni modo le sei, otto ore che trascorreva al tavolo lo trasportavano in un altro mondo, un mondo nel quale lui non era un disperato ma un uomo che percorreva fiducioso la propria strada, conoscendone bene il significato e il traguardo. A pranzo staccava, andava in mensa, poi tornava con i due panini nella giacca e restava fino alla chiusura. Era quasi sempre l'ultimo ad uscire sotto lo sguardo gelido della bibliotecaria.
Un giorno era immerso nella lettura di un poema medioevale in versi di cui aveva scoperto che in quella biblioteca era conservato un esemplare originale. Aveva provato a chiedere se poteva averlo ma la bibliotecaria si era limitata a sorridere sarcastica. Gli aveva messo tra le mani una copia e lui ci si era applicato entusiasta dall'idea che lì vicino c'era un libro scritto prima che la caravelle arrivassero nel suo paese. Era immerso nella lettura con un dizionario di francese al fianco, quando udì una voce dall'ingresso che lo fece sobbalzare. Da dieci anni inseguiva una donna con cui non aveva mai parlato, che non aveva mai risposto al suo unico maldestro tentativo di approccio, e di cui non conosceva la voce, ma quel suono lo colpì come se venisse dalla profondità della terra. Forse era l'accento del suo paese, forse era qualcosa d'altro, in ogni caso non ebbe bisogno di alzare la testa: sapeva che lei era lì, l'aveva ritrovata!
Tese l'orecchio e gli sembrò di sentire la bibliotecaria rispondere con un tono imbarazzato che in biblioteca libri di quel genere non ne tenevano. Maria e la bibliotecaria discussero ancora un poco bisbigliando, poi Maria prese un libro ed uscì. Josè aveva le vertigini, rimise il Roman de la Rose nello scaffale, restituì il dizionario, si mise in tasca il quadernetto degli appunti e uscì nell'aria gelida.
Quella notte non riuscì a dormire: il respiro pesante e i grugniti degli altri ospiti erano come uno sfondo opaco, lontano, su cui un fuoco violento ardeva e bruciava crepitando. La possibilità di poterla rivedere, il modo di avvcinarla, le ipotesi su cosa facesse ancora a Ginevra, l'immaginazione correva avanti e indietro rappresentandogli sempre nuovi scenari. Gli passarono dinanzi anche le immagini di sua madre e della sua famiglia, a cui da tempo non aveva pensato e raccontava loro di come l'aveva ritrovata e come lei lo aveva riconosciuto e come avevano deciso di tornare al sole del Brasile.
Ma il giorno dopo lei non tornò alla biblioteca e neppure il giorno dopo ancora. Lui leggeva come sempre tutto il giorno, ma la lettura era discontinua, nervosa, perdeva facilmente il segno e il filo del discorso.
Finalmente la settimana seguente lei tornò a restituire il libro in prestito e a prenderne un altro. Mentre la bibliotecaria andava a cercare il libro chiesto da Maria, Josè restituì il suo, ripose il dizionario e uscì in strada. Aspettò che Maria uscisse appoggiato al muro sul lato opposto della strada. La vide attraversare il portone girevole della biblioteca e mancò poco che cadesse per terra privo di sensi: era elegantissima, una regina, l'abito nero e il cappotto grigio-verde le davano slancio. Maria era alta quasi un metro e novanta, gambe lunghissime e potenti, capelli neri inchiostro, viso largo con una espressione di sfida ed ottimismo stampata sulle labbra rosse, perfette.
Lei guardò il suo lato della strada ma non lo vide, quasi fosse trasparente, poi proseguì sul marciapiede verso il lago. Josè era abituato a quello sguardo qui in Svizzera, così diverso dallo sguardo dei brasiliani e delle brasiliane. Nel suo paese ogni persona merita perlomeno uno sguardo, che sia di ammirazione o disprezzo, ma solo qui in Svizzera aveva imparato cos'è l'invisibilità, essere davanti ad una persona e quella che vede il panorama dietro di te come se tu proprio non esistessi, con il volto impassibile come se fossero soli nell'universo. Maria aveva imparato presto quello sguardo, pianse dentro di sè Josè. Poi si mosse e la seguì.
Lei camminava felice nella giornata piena di sole, una di quelle giornate che là sono rare perle tra le nubi e le nebbie. La seguiva da dietro e ogni sua curva, ogni suo passo lo feriva dentro come un uncino aggrappato alla carne: non era una persona che camminava su di un marciapiede, era La Donna, la sintesi e il concentrato di ciò che la femminilità è nell'universo, quel modo di camminare con le anche che ondeggiano come molle tra l'altalena delle gambe e quella delle spalle.
Josè la seguì per circa mezz'ora, finchè lei entrò in un bar e sparì oltre le porte modello pub inglese, dalla struttura rossa su quadrati di vetro spesso e opaco. Allora si guardò intorno cercando di capire dov'era: realizzò di essere a qualche centinaio di metri dal lago, tra questo e la stazione ferroviaria, lungo la via c'erano molti locali di spettacoli o bar o club. Ad un angolo su un edificio rosa si diceva che c'erano stanze private.
Il locale dove Maria era entrata si chiamava Copacabana. Josè rimase fuori a guardare le ragazze che entravano, fin verso le otto di sera. Verso quell'ora cominciò ad entrare anche qualche uomo, ma lui doveva affrettarsi perchè tra poco avrebbero chiuso le porte del dormitorio.
Il giorno dopo nel pomeriggio si presentò alle porte del locale. Il proprietario era un uomo massiccio dai modi spicci e il volto umano, vivo, di nome Milan. “Cerchi lavoro, forse?” gli sussurrò squadrandolo dall'alto al basso. Josè aprì le mani come a dire che era la cosa più logica del mondo.
Così iniziò a lavorare come uomo di fatica nel Copacabana, dal primo pomeriggio alla sera. Quando le ragazze arrivavano gli ambienti dovevano essere perfettamente puliti e lui fuori. Ma trovava sempre qualcosa da sistemare, restava un angolo non pulito, un posacenere non lucidato e Milan stupiva che ci mettesse tanto impegno e restasse fuori orario e non capiva che tirava a far tardi perchè sperava di incrociare Maria. In effetti lei era tra le ragazze che arrivavano puntuali, ma come il giorno che l'aveva rivista, gli passava davanti senza vederlo. Quindi se ne andava al dormitorio, consumava il suo panino e passava la notte a sognarla, a sognare quel che lei faceva con i clienti, a tormentarsi di non poterla prendere con sè, sentiva la sua pelle calda scattarle sotto le dita, affondava nei suoi seni e le sfiorava il collo in sogno.
Milan lo pagava dieci franchi al giorno, tolti i quarantacinque-cinquanta franchi che gli servivano per vivere, per raccogliere trecentocinquanta franchi gli servivano almeno due mesi. Quella era la cifra per un appuntamento con le ragazze del Copacabana, a cui si doveva aggiungere il prezzo della stanza d'albergo e il taxi. E poi comunque sperare che i tuoi soldi a loro non facciano schifo, perchè le ragazze potevano anche rifiutare un cliente, come se i soldi non avessero tutti lo stesso valore, e allora quando quello si avvicinava e le chiedeva se poteva offrirle da bere, la ragazza poteva ringraziare e dire che era impegnata. Quelle erano le regole di Milan e quelle regole non si discutevano.
Così la vita di Josè cambiò radicalmente facendo perno su quei pochi istanti nei quali incrociava la donna per la quale aveva perduto la ragione, con il cuore in subbuglio, il sangue alle tempie, la vista annebbiata. Al mattino usciva dal dormitorio fresco di doccia e andava in biblioteca mangiando il panino del giorno prima. Qui scoprì la pittura, in particolare si immerse in due pittori opposti l'uno all'altro e distanti come l'Europa e l'America Latina, ma uniti da un qualche misterioso filo: Caravaggio e Cézanne. Dove il primo metteva le tenebre, il secondo metteva la luce, dove il primo ripeteva con precisione maniacale i particolari come fosse una fotografia, l'altro tracciava un segno che si poteva interpretare volendo o anche no. Leggeva di loro e scorreva le immagini sui libri d'arte fino a mezzogiorno, con l'orecchio teso nella speranza di sentire la vose di Maria che parlava con la biblotecaria, poi andava alla mensa e quindi al lavoro. Lavorava attento a far bella figura con Milan e ansioso di rivedere la ragazza.
Seguiva l'evolvere della vita di lei intuendone lo sviluppo da quei rari istanti: si rendeva conto di come stava fiorendo in bellezza e sicurezza, di come maturasse come donna e si facesse ogni giorno più desiderabile. Milan non si accorgeva di quello che lui provava: aveva occhi, empatia ed intuito solo per le ragazze, con uno sguardo le pesava e le inquadrava nelle sue categorie prefissate. Quelle frivole e le professioniste, e tra le professioniste quelle fredde e quelle appassionate, quelle meticolose e quelle pressapochiste, quelle che erano professioniste di natura e quelle che soffocavano a fatica la propria natura. Ma per Milan, Josè era trasparente, come un soprammobile da spostare di qua o di là a seconda delle esigenze. Anche i clienti venivano classificati dall'imprenditore in precise categorie: gli occasionali e i clienti fissi, quelli generosi e gli altri, quelli disperati e quelli esuberanti. Poi c'erano i clienti speciali, quelli che Milan conosceva per nome e per i quali riservava le ragazze migliori, quelle per le quali garantiva lui stesso.
Con il tempo Josè estese l'orario serale senza che l'imprenditore se ne accorgesse, da dietro il banco o pulendo un vetro, seguiva Maria finchè usciva con il primo cliente. Allora anche lui se ne andava con la testa penzoloni e le mani affondate nelle tasche.
Si rendeva conto di quanto folle fosse il proprio amore e altresì che sarebbe stato assai più folle rimettersi sulla strada e tornare a casa. Avrebbe potuto trovare un'altra donna che le facesse dimenticare Maria? Forse, perchè no? Ma ogni notte il vento freddo della sera gli avrebbe portato il profumo del paradiso e gli avrebbe ricordato che gli era così vicino da poterlo toccare con un dito: come l'avrebbe sopportato? Avrebbe dunque passato la vita spiandola tra le braccia di altri uomini? L'avrebbe vista invecchiare, sfiorire, passare di livello come passano di livello le prostitute, andando a lavorare in un locale un poco oltre dove il prezzo era di duecento franchi, e poi oltre ancora e l'avrebbe raccolta infine come la maschera di se stessa? Al momento non aveva risposte, i giorni gli sfuggivano via veloci tra le letture del mattino e quei pochi istanti la sera.
Maria nel frattempo si faceva un nome ed ebbe il suo primo cliente speciale che la portò via una sera e la tenne solo per sè tutta la notte. Quella notte lui si girò nel letto intriso di disinfettante, lamentandosi come altri ubriaconi del dormitorio e avrebbe fatto qualunque cosa per sfuggire all'angoscia che lo teneva: si sarebbe masturbato, avrebbe preso con la forza la prima donna che avesse incontrato, si sarebbe gettato nel lago ghiacciato. Emerse nella luce del mattino come si torna con gratitudine alla realtà dopo una notte di incubi e gustò, quella mattina, in modo particolarmente vivo i dipinti e le facce del Caravaggio, con i loro urli sospesi a metà, il loro cuore impaziente di scoppiare, di chiedere misericordia, di donarsi infine.
Scoprì in seguito che anche il cliente speciale di Maria era un pittore e andò a cercare i suoi quadri e i suoi cataloghi: gli faceva pena, i suoi ritratti erano senza spessore, quasi fumetti senza profondità. Nel municipio di Ginevra era esposta una sua tela molto lunga, alta poco meno di un metro, dove si riconoscevano personaggi famosi viventi, premi nobel, scrittori, uomini politici. Una donna vicino ad una finestra attirò la sua attenzione: era Maria, si! A parte gli occhi tuttavia non vi era altro di vivo, non vi era la forza sacra che sconvolgeva Josè ogni volta che la avvicinava. Era una bella donna, con una luce nello sguardo, forse un sorriso biricchino, ma nulla altro.
Odiava quel pittore, giovane e famoso, con i capelli lunghi che lasciava crescere per finta trascuratezza e che guadagnava con un solo quadro quanto lui non avrebbe guadagnato in tutta la vita, quel giovane schizzinoso che aveva avuto tutto e si dava arie di aver sofferto chissà quali dolori. Lo odiava perchè poteva stringere Maria tra le braccia quanto voleva, perchè lei gli sorrideva e usciva con lui, perchè lei lo guardava e lo vedeva come un uomo che merita rispetto.
Josè si chiudeva nel gabinetto della biblioteca per contare i soldi che aveva messo da parte e che nascondeva in un risvolto dei pantalori e disperava di poter mai arrivare ad averne abbastanza per passare un'ora con Maria. Quella mattina la bibliotecaria vedendo che occupava troppo il bagno venne a bussare alla porta: forse pensava che si stesse masturando e quando uscì rimase a fissarlo a lungo. Lui fece finta di nulla, si scusò e tornò a Caravaggio. Gli passò allora per la mente che nella città delle banche lui forse era l'unico a rimpiangere di non poter toccare con le mani il manoscritto originale del Roman de la Rose e di non poter abbracciare Michelangelo Merisi o battere sulle spalle un incoraggiamento a Paul Cézanne. Era l'unico stupido, avrebbe fatto meglio a studiare qualcosa di utile e produttivo, qualcosa che gli permettesse di guadagnare. Avrebbe fatto meglio a mettere gli occhi su una brava ragazza a portata di mano invece di restare fissato su di un sogno impossibile.
Una sera Maria giunse al lavoro un po' in ritardo, ma aveva una luce negli occhi e una gioia sulle labbra che Josè rimase senza fiato. La vide parlare con Milan e poi la vide uscire: allora capì tutto in un attimo, avrebbe voluto correrle dietro e fermarla, chiederle come avesse fatto a passargli davanti per tanto tempo senza riconoscerlo, dirle che se avesse avuto una penna avrebbe potuto dargliela anche se lui ne aveva già una nella tasca, immaginò che avrebbe pasato la notte con quel pittore presuntuoso e temette che non l'avrebbe più vista. Ma non fece in tempo: arrivò un taxi, lei salì e scomparve nella nebbia.
Il mattino dopo Josè si alzò come al solito e si infilò nella doccia del dormitorio. Era uno dei pochi o forse l'unico che faceva la doccia tutte le mattine per cui i locali erano quasi deserti. Le docce non avevano chiavi per evitare che qualche sbandato si chiudesse dentro e facesse qualche pazzia, o si suicidasse o facesse un colpo e la porta chiusa impedisse i soccorsi immediati.
Perciò il gestore del dormitorio potè aprirla mentre lui aveva gli occhi chiusi per via del sapone. Percepì la presenza e subito dopo la mano di lui che gli sfiorava il sesso: aprì gli occhi di scatto e se lo vide davanti nella sua rotonda soddisfazione e sicurezza: si erano passati di fianco decine e decine di volte, scambiando poche parole e senza che mai avesse sospettato un interesse nei propri riguardi. Il gestore gli prese il pene in mano e gli sussurrò che l'avrebbe pagato bene.
Con uno scatto si liberò della presa, usci veloce dalla doccia e si vestì. Qualche minuto dopo camminava verso la bilblioteca, scuro in volto: ecco un problema nuovo, forse non a caso, dove avrebbe dormito quella era? Dopo quel che era successo non avrebbe avuto il coraggio di guardare in faccia quell'uomo. Forse anche Maria non sarebbe tornata al Copacabana e allora perchè lui avrebbe dovuto restare a Ginevra?
Entrò in biblioteca come si fanno a volte le cose automaticamente senza riflettere. La bibliotecaria lo guardò a lungo e lui si rese conto che nella fretta non si era tolto bene il sapone dai capelli e non si era pettinato e non tutti i bottoni della camicia erano chiusi. Prima di andare al suo tavolo passò dal bagno a darsi una sistemata. Quella mattina però non riusciva a leggere, ad entrare nelle storie, per cui lasciò il libro e uscì nell'aria fresca che già sapeva di primavera.
Sedette su una panchina e rimase a guardare la gente indaffarata che entrava ed usciva dagli uffici e dalle banche. Verso le dieci vide uscire anche la biblotecaria che andava a prendere un caffè, fece qualche passo, lo vide sulla panchina, si girò e tornò indietro. Qualche minuto dopo un'auto della polizia si fermava davanti a lui e due poliziotti lo invitarono a seguirlo alla gendarmeria.
Si stupì del loro interesse: per mesi aveva vissuto in quella città grigia ignorato da tutti. Ma lo stupore durò finchè gli chiesero per quale ragione molestasse la dipendente della biblioteca comunale. Lui quasi si mise a ridere e scorse negli occhi del poliziotto che aveva di fronte un guizzo di complicità, interrotto improvvisamente dalle parole acute e isteriche di una poliziotta in piedi dietro il collega alla scrivania: cosa c'è da ridere signor Josè Becerra? Pensa lei di avere il diritto di pedinare per mesi una qualunque donna per un qualunque motivo?
Josè non rispose, non ne aveva voglia e gli sembrava l'accusa tanto assurda da non meritare risposta e comunque il mondo per lui aveva ormai ben poco interesse. Gli chiesero i documenti e scoprirono che il permesso di soggiorno era scaduto. Bene, problema risolto. Alla fine in qualunque paese gli uomini sono sempre della stessa pasta e la strada che preferiscono è la meno faticosa. Istruire un processo per molestie sessuali raccogliendo prove e testimonianze era complesso e faticoso se non incerto nel risultato. Estradarlo per la scadenza del permesso era immediato, facile veloce.
Apprezzò l'efficenza elvetica quando due ore dopo lo imbarcarono su un aereo diretto a Parigi, da dove avrebbe preso una coincidenza per il Brasile. Lo accompagnavano due agenti e furono così gentili da non mettergli le manette. Sull'aereo fu sorpreso di veder salire anche il pittore, il cliente speciale di Maria, con quell'aria idiota, superficiale, soddisfatta. A Parigi furono ospitati nella stanza della gendarmeria fino alla coincidenza. Dalla finestra lo sguardo spaziava verso l'orizzonte e la grande sala d'attesa.
Da quella finestra vide Maria passare guardandosi intorno per decidere la direzione da prendere e il pittore avvicinarsi a lei con un mazzo di fiori e gli occhi di lei illuminarsi come il sole che passa attraverso le nubi e li vide baciarsi come due ragazzini.

Un giorno il poverò morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo.
Poi morì anche il ricco e fu sepolto.
Finito negli inferi tra i tormenti, alzando gli occhi vide da lontano Abramo e Lazzaro che era com lui. Allora gridò: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perchè soffro terribilmente in questa fiamma.
Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che in vita hai ricevuto i tuoi beni e parimenti Lazzaro i suoi mali. Ora invece lui è consolato e tu tormentato.
Luca 16, 22-25

* Paulo Coelho, Undici Minuti, pag.16

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