mercoledì 27 febbraio 2013

Cerca almeno di essere onesto


Impegna qua o là le braccia, per la mietitura o la vendemmia. Riscattati con gli atti.
Se vuoi vivere santamente, tenta almeno d'essere onesto.
Onesto è chi mette un legame tra ciò che prende e ciò che rende.
Ma la gente più ha, più si sente dispensata dal fare.
Meno bisogno si ha, più facilmente si guadagna.
Il mondo onora più di tutto quelli che non servono.


Principi, IX

C'è una sola cosa triste, scrisse Leon Bloy:  non essere santi
Nel mondo cattolico, nei gruppi e nelle associazioni, si incontra spesso gente che vuole essere santa. Nel mondo laico cercano la gloria, e forse le due cose non sono molto distanti. 

L'onestà sembra una parente povera, della quale non andare troppo fieri. Sembra un dato scontato finchè non arriva una ispezione della Guardia di Finanza, ma diviene una pretesa irrealizzabile a posteriori, quando si tratta di giustificare qualche ricevuta dimenticata.
L'onestà talvolta si comporta come una giovincella scostumata e svanita che fa la morale  e spara sentenze ma non volge mai lo sguardo a sè stessa. Assomiglia a quell'onestà di cui parla Langone a proposito del cardinale O'Brien: fanno i conti dei peccati altrui.
Il conte Tolstoj scriveva di quegli intellettuali  presi da intensa compassione per il povero che declamano al suo orecchio la loro solidarietà. Scendessero dalle sue spalle, commenta lo scrittore.
Certo l'onestà passa dal vidimare il biglietto dell'autobus al pagare le tasse, dal fare le ricevute al rispettare gli orari di lavoro. Ma l'onestà è anzitutto misurare con il proprio corpo le dimensioni del mondo nel quale viviamo. Quanto lavoro ci vuole per un panino, per una tazza di caffè, per un maglione di lana?
Coloro che  vivono di rendite o di titoli di studio, perdono uno dei maggiori strumenti di conoscenza: quello che lega la soddisfazione di un bisogno al lavoro necessario. Giustizia anzitutto, ma giustizia è un concetto astratto che si può comprendere solo facendo. Di cosa viene derubato il povero condannato a lavorare per soddisfare i bisogni del ricco? E cosa restituisce il ricco per ciò che riceve?
Ma alla fine il discorso gira a vuoto: siamo tutti d'accordo che l'onestà è  bella e giusta, ma gli onesti restano pochi e fessi. 
Perchè, per qualche ragione che mi sfugge, da qualche tempo si è persa la certezza che l'onestà è la via per la santità. Va bene, questo è un discorso che potrebbe andare per i cattolici: e gli altri perchè dovrebbero essere onesti? Non ne ho la minima idea e non mi pongo il problema, se lo ponga chi lo sente.
A me basta stupire perchè il mondo cattolico si è perso in montagne di chiacchiere e teorie, di ideologie e riflessioni, di principi non negoziabili e valori universali, dimenticando il legame tra ciò che si prende e ciò che si rende.
Ammetto che non paga, da nessun punto di vista, l'onestà. Passi per fesso da un lato, per avido dall'altro. Sì, perchè l'altra faccia è che se vuoi essere onesto e paghi tutte le tasse e tutti i contributi e tutti i debiti, le tue tariffe sono più alte che altrimenti. Perciò l'onestà non sembra proprio la via per la gloria. Aristotele riteneva che ricchezza e gloria non sono opportunamente conciliate nella stessa persona, per quanto virtuosa. Verrebbe da domandarsi se è opportuno che la virtù comporti allora povertà e disonore.
Ma qualunque sia l'esito sociale, mettere un legame tra ciò che si prende e ciò che si rende è un modo per sondare, conoscere il mondo penetrandolo con l'unica sonda di cui disponiamo: il nostro corpo capace di bisogni e di azioni.
Se poi l'onestà conduca davvero alla santità (dato per scontato che non porta nè all'onore nè alla ricchezza) al momento non lo saprei. 
Ma, davvero, non saprei quale altra strada un uomo ragionevole possa percorrere senza rinnegare se stesso.     

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