Dove c'era il mare, Marghera, è
terraferma, industria, porto, ferrovia, quartieri popolari, degrado,
rinascita e orgoglio.
Marghera è il nuovo che attacca il
vecchio e dopo la sconfitta affonda in fanghi radioattivi.
Seguendo binari dismessi, tra aree
industriali abbandonate o mai edificate, si scoprono campeggi semi
provvisori o quasi definitivi, multietnici e disperati.
George viene dal Ghana, ha due
cicatrici sulla guancia per significare che è cristiano. Tarchiato,
dal volto rispettoso, deciso a vivere onestamente l'avventura di
questa vita. Il prete grasso con la barba me l'ha affidato perché io
lo riaccompagni a casa.
Chiamare casa questi ricoveri
improvvisati fa un certo effetto.
Parla inglese condito di qualche eco
italiano. Faceva il camionista ma la crisi lo ha colpito. Mi è grato
per il passaggio, come se avessi fatto una grande azione, eroica.
Cerca lavoro e mi chiede di tenerlo presente se mi giunge qualche
notizia.
Mi si attorcigliano le budella mentre
apre la portiera e scende. C'è una voce che tuona nel cielo grigio:
che ne hai fatto di tuo fratello?
Già, che ne ho fatto? Non sono affari
miei, non è responsabilità mia. Chi glielo ha consigliato a George
di venirsene via dal Ghana per tentare la fortuna in un paese di
vecchi? Chi tenta la fortuna, amico, talvolta la trova, ma più spesso
fallisce e la storia non porta memoria di coloro che macina.
Per i Lemonov c'è spazio, per chi ha
successo. Per i disperati e l'immensa folla dei falliti non c'è lo
spazio della memoria né della compassione.
Il prete grasso per il cenone di
capodanno era alla mensa dei poveri insieme al patriarca Francesco.
Il patriarca si dice abbia una attenzione particolare per i poveri,
infatti è sua la richiesta di questi giorni di riconoscere la
cittadinanza italiana agli stranieri nati sul suolo italiano, lo ius
solis dei giuristi.
Patriarca, ha qualcosa a che fare con
il padre e con l'archè, il principio, l'ordine. Nel patriarcato
l'ordine non dipende dai soldi, dal potere o dal volubile sentire del
volgo, ma dall'essere padre, dalle viscere che si contorcono al
pensiero del figlio lontano bramoso di sfamarsi delle carrube date in
pasto ai maiali.
Il padre è colui che non dimentica il
figlio disgraziato per quanto disonesto e furfante. A maggior ragione
se onesto e sfortunato.
Mentre guardo George allontanarsi verso
le tende colorate e i panni stesi, sotto il cielo crudele che
promette freddo e pioggia, mi spaventa lo sguardo azzurro del
cappuccino dalla rada barba che mi chiedeva con voce sussurrata: ma
tu perché credi che Gesù ti debba ancora perdonare?
Per quale ragione infatti conto ancora
sul Suo perdono come una certezza infallibile, mentre lascio andare
il mio fratello, lo lascio sparire e so che non lo vedrò mai più?
Che ne hai fatto di tuo fratello? tuona ancora il cielo. Non è una
condanna ma una domanda. La condanna è nella mia risposta: non lo
so, non so dove è andato George, l'ho perso di vista, è sparito
risucchiato dal nulla al di là del mio orizzonte, là dove la mia
pigrizia non mi spinge, là dove le mie virtù non mi reclamano.
Il prete grasso è più grasso del
consigliere regionale che ha replicato alle parole del patriarca: gli
stranieri non la chiedono la cittadinanza. In un certo senso è vero:
la cittadinanza è un particolare, un dettaglio, come la piega dei
pantaloni. Prima viene il pranzo e la cena, prima viene un lavoro, un
modo per guadagnarsi da vivere. Questo è il dilemma da affrontare
prima dei dettagli: perché George se ne va triste sotto il cielo
grigio, perché il suo andare non ha uno scopo, un fine, un
obiettivo.
Perché non è vero che il lavoro è un
diritto. A sentire certe stupidaggini mi verrebbe da spaccare la
testa ai benpensanti progressisti che con esse si lisciano lo
stomaco.
Il diritto è avere gli strumenti per
soddisfare i propri bisogni. I propri bisogni fondamentali: mangiare,
abitare, vestire. Creare. Ebbene sì: anche costruire, creare,
produrre, è un diritto, e gli strumenti per creare, gli attrezzi e
le competenze per lavorare, sono un diritto. Il lavoro non è un
diritto ma un dovere.
Se George non ha un lavoro, c'è
qualcosa di storto. Dov'è il pezzo di mondo di George, quello che
lui deve sistemare e tenere in ordine, quello dal quale egli deve
trarre il proprio sostentamento?
C'è una fabbrica tedesca che ha
raccolto plausi e complimenti: all'inizio di questa ultima crisi si è
trovata in difficoltà e avrebbe dovuto licenziare almeno metà dei
propri dipendenti. Anziché licenziare hanno deciso di avviare un
programma di ristrutturazione e formazione del personale, così
adesso producono il doppio di prima in metà tempo.
Hanno avuto un grande successo: la
qualità tedesca è nota e il resto del mondo può competere solo se
ha prezzi molto inferiori. Perciò i tedeschi, abbassando i loro
prezzi e producendo il quadruplo, hanno fatto chiudere quattro
fabbriche piantate altrove che davano lavoro a centinaia di famiglie
altrui. Il grasso consigliere regionale è contento e gongola nel
raccontare questa storia, invidioso forse o anzi certamente, mentre
George si ripara dalla pioggia sotto una tenda a Marghera.
Il leone squarcia il collo della
gazzella e se ne nutre senza rimorsi mentre quella ancora scalcia.
Può l'uomo fare altrettanto dell'altro uomo?
Mi spaventa lo sguardo del consigliere,
i piccoli occhi cattivi, la presunzione di delineare con precisione
ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio.
Di Cesare, urlo alle nubi nere, è
l'immagine. L'immagine sulla moneta. Nulla di più.
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