venerdì 14 dicembre 2012

Femminicidio #7

Ebbene, cara Lorenza, grazie per avermi detto che nella mia ultima lettera avevo sbagliato un sacco di congiuntivi.
Non riuscivo a vederli, l'ho riletta un sacco di volte senza vederli. Poi sono andato a mangiare, ho ripreso il lavoro, in una pausa ho buttato un occhio, ed eccoli là, come lucertole dispettose tra un sasso e un tubo di ferro, sotto il sole a picco.
È vero, sono tante le cose su cui possiamo passare, ma sui congiuntivi no.
Tu lo sai che non sono uno scrittore, non scrivo per farmi leggere né per diventare famoso.
Scrivo per disperazione, perché ho bisogno di buttare fuori le passioni che rumino.

È da tanto che tanti riflettono sulla violenza. Oggi, leggendo i giornali e ascoltando la TV, sembra che ci sia una unica violenza superstite: la violenza contro le donne.
È una finzione, un falso, una caricatura. Ma se appena lo dici, che non c'è solo la violenza contro le donne, già ti accorgi di dire una cosa banale, evidente.
Perché la violenza non è solo quella che si vede, quella che fa notizia. La violenza è come l'acqua nella quale nuotano i pesci dei nostri progetti e delle nostre iniziative, come l'aria che respiriamo.
La violenza è la continuazione del dialogo con altre parole.
Perciò, per sfuggire a quest'aria mefitica, scrivo. Getto bottiglie al mare, mi sembra così di parlare a qualcuno. Continuo a parlare, sfuggo alla violenza perché ho ancora parole da dire.
Non so se qualcuno di là raccoglie le mie bottiglie.
Perciò mi hai fatto contento dicendomi che avevo sbagliato i congiuntivi: ma allora hai letto, almeno tu hai letto!
Voi scrittori trattate noi artigiani veneti come buzzurri, ignoranti analfabeti. Ve la ridete delle nostre giornate lavorative di quattordici ore. Quando fate i complimenti al miracolo dell'economia veneta, alla locomotiva della piccola media impresa, con una brioche in mano e il caffettino fumante davanti, sono complimenti che suonano tristemente. Quasi una burla, direi.
Noi non rispondiamo e continuiamo con le nostre giornate, come i nostri padri e i padri dei nostri padri. Non posso dire come i nostri figli, non lo so ma non credo di poterlo dire. Perché mentre noi lavoravamo, qualcuno faceva loro il lavaggio del cervello e li convinceva che i soldi cadono dal cielo, e che i soldi migliori sono quelli meno sudati.
In ogni caso, qualunque sia il mondo che verrà dopo il nostro, al momento il nostro è così. Perciò tu comprendi che per me scovare quelle maledette bestioline, i congiuntivi intendo, è questione di tempo e non solo. Anche allenamento, certo, perché io non faccio lo scrittore.
Ti ringrazio allora e già che ci sono ti dico anche che ti ammiro.
Siamo su sponde diverse, non condivido le tue idee né la tua prassi, ma ti ammiro. Quasi invidio la fede che hai nella bontà della tua battaglia.
A volte mi viene il pensiero che sarebbe giusto che io avessi una fede tanto forte nelle mie giuste battaglie quanto quella che tu hai nelle tue battaglie sbagliate. Poi ci ragiono su e concludo che non ci sono battaglie giuste: il massimo della giustizia oggi è combattere contro le battaglie sbagliate. Sì, questo forse vale la pena, su questo a volte qualcosa investo.
Nella classifica della gravità degli errori, devo dire, tu sei scesa di parecchio. La prima volta che ci siamo conosciuti ti avevo messa al vertice. Poi mi sono accorto che c'è molto di peggio: tutti coloro e tutte coloro che afferrano qualunque bandiera porti, o possa eventualmente portare, profitto.
Su questo ho l'impressione che siamo nella stessa barca. Anche tu sputi sulle opportuniste che fanno del femminismo un investimento.
Nella tua battaglia assomigli ad una Giovanna d'Arco, te lo dico con ammirazione ma non riuscirei mai a fare altrettanto. Perché non basta voler credere. La fede e la ragione devono andare di pari passo. Non si può prendere una qualsiasi bandiera perché si ha bisogno di una bandiera, di una battaglia, di uno scopo.
E alla fine devo ammettere che la tua fede nel femminismo la trovo un po' patetica. Ammiro il tuo battagliare, meno la tua bandiera.
Perché è vero. C'è una violenza contro le donne, come c'è una violenza contro gli uomini. Noi tutti siamo attori e vittime di questa violenza universale. Di questo mondo senza parole dove conta solo il potere, la forza. La forza senza la parola è violenza. La parola fa dell'essere umano un animale che può intendersi con gli altri animali parlanti sulla base di ragionamenti e principi che vanno oltre lui, che possono mettere d'accordo amici e nemici, per i quali ciascuno può sacrificare volontariamente il proprio interesse e anche se stesso.
Il nostro mondo ha fatto della parola uno strumento e anziché servirla se ne serve per i propri interessi.
Così hanno inventato quelle due nuove parole: femmicidio e femminicidio, senza curarsi della precisione della definizione. Adequatio rei et intellectus, diceva il dottore angelico. Ma che cosa è cosa: femmicidio e femminicidio non corrispondono a cose, ma ad intenzioni, a voglia di potere, a frustrazioni mai sopite, a programmi disonesti per la conquista del Palazzo.
La leva con cui hanno scardinato il linguaggio ha il fulcro su un pronome: “voi”. Senti dire: “voi uomini”, ti guardi attorno e indietro per capire di chi parlano e ti accorgi che parlano di te e dell'altro e dell'altro ancora, di una marea di persone che non hanno nulla in comune salvo, forse, un pisello.
E ti domandi come mai ci siano alcuni che, pur avendo anche loro, forse, il loro pisellino, sono già saltati nel coro che declama il: “voi uomini”. Quelli che sono nel coro, loro sì hanno qualcosa in comune tra loro: hanno cravatte colorate, giacche alla moda, scarpe lucide, mani ben curate.
Quando senti dire “voi uomini”, ti viene da dire “voi donne”. Così si comincia a parlare, e dopo ore, a volte giorni, ti domandi perché dentro sei sempre più disperato, cosa c'è che ti rode. Il fatto è che ti hanno trascinato nel loro errore, perché non esiste il “voi uomini” come non esiste il “voi donne”, e se a volte dici che una donna è più portata ai rapporti affettivi che al ragionamento, ci devi stare attento perché non è sempre così. C'è anche una Montalcini, per intenderci.
Alla fine ti accorgi che non sono parole, che credevi di parlare, ma ripetevi ossessivamente “papè satan”, perché il “voi” è una bugia, non c'è una classe, un soggetto che corrisponda alla parola “uomini” o “donne” e che abbia virtù morali o interessi materiali comuni. Non c'è, abbiamo frustato l'acqua per nulla, questo è il fatto. Nessuna punizione e nessun premio dato ad un uomo o ad una donna in quanto uomo o donna, fa fare un solo passo avanti a me o a chiunque altro o all'umanità nel suo complesso.
Se c'è una battaglia da fare, che valga la pena fare, è contro questo mezzogiorno di vuoto, questa moda di parlare senza pensare, questo vivere alla giornata, questa rincorsa ossessiva e demenziale ai propri interessi particolari.
Talvolta mi domando cosa saresti tu senza il femminismo, senza il tuo impegno politico e sociale. Mi sento allora in colpa, perché forse quelle bandiere sbagliate ti fanno migliore di come saresti senza. Perché la mia battaglia contro le battaglie e contro le bandiere non mi rende neppure un centesimo di quello che vali tu.
Alla fine sto qui, un po' incerto, cercando di non farmi travolgere dalla disperazione e dalla depressione, di ritrovare parole che risuonino di verità. Di eternità.
Alla fine sto qui e le parole che cerco, le cerco anche per te.

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