Ebbene, cara Lorenza, grazie per avermi
detto che nella mia ultima lettera avevo sbagliato un sacco di
congiuntivi.
Non riuscivo a vederli, l'ho riletta un
sacco di volte senza vederli. Poi sono andato a mangiare, ho ripreso
il lavoro, in una pausa ho buttato un occhio, ed eccoli là, come
lucertole dispettose tra un sasso e un tubo di ferro, sotto il sole a
picco.
È vero, sono tante le cose su cui
possiamo passare, ma sui congiuntivi no.
Tu lo sai che non sono uno scrittore,
non scrivo per farmi leggere né per diventare famoso.
Scrivo per disperazione, perché ho
bisogno di buttare fuori le passioni che rumino.
È da tanto che tanti riflettono sulla
violenza. Oggi, leggendo i giornali e ascoltando la TV, sembra che ci
sia una unica violenza superstite: la violenza contro le donne.
È una finzione, un falso, una
caricatura. Ma se appena lo dici, che non c'è solo la violenza
contro le donne, già ti accorgi di dire una cosa banale, evidente.
Perché la violenza non è solo quella
che si vede, quella che fa notizia. La violenza è come l'acqua nella
quale nuotano i pesci dei nostri progetti e delle nostre iniziative,
come l'aria che respiriamo.
La violenza è la continuazione del
dialogo con altre parole.
Perciò, per sfuggire a quest'aria
mefitica, scrivo. Getto bottiglie al mare, mi sembra così di parlare
a qualcuno. Continuo a parlare, sfuggo alla violenza perché ho
ancora parole da dire.
Non so se qualcuno di là raccoglie le
mie bottiglie.
Perciò mi hai fatto contento dicendomi
che avevo sbagliato i congiuntivi: ma allora hai letto, almeno tu hai
letto!
Voi scrittori trattate noi artigiani
veneti come buzzurri, ignoranti analfabeti. Ve la ridete delle nostre
giornate lavorative di quattordici ore. Quando fate i complimenti al
miracolo dell'economia veneta, alla locomotiva della piccola media
impresa, con una brioche in mano e il caffettino fumante davanti,
sono complimenti che suonano tristemente. Quasi una burla, direi.
Noi non rispondiamo e continuiamo con
le nostre giornate, come i nostri padri e i padri dei nostri padri.
Non posso dire come i nostri figli, non lo so ma non credo di poterlo
dire. Perché mentre noi lavoravamo, qualcuno faceva loro il lavaggio
del cervello e li convinceva che i soldi cadono dal cielo, e che i
soldi migliori sono quelli meno sudati.
In ogni caso, qualunque sia il mondo
che verrà dopo il nostro, al momento il nostro è così. Perciò tu
comprendi che per me scovare quelle maledette bestioline, i
congiuntivi intendo, è questione di tempo e non solo. Anche
allenamento, certo, perché io non faccio lo scrittore.
Ti ringrazio allora e già che ci sono
ti dico anche che ti ammiro.
Siamo su sponde diverse, non condivido
le tue idee né la tua prassi, ma ti ammiro. Quasi invidio la fede
che hai nella bontà della tua battaglia.
A volte mi viene il pensiero che
sarebbe giusto che io avessi una fede tanto forte nelle mie giuste
battaglie quanto quella che tu hai nelle tue battaglie sbagliate. Poi
ci ragiono su e concludo che non ci sono battaglie giuste: il massimo
della giustizia oggi è combattere contro le battaglie sbagliate. Sì,
questo forse vale la pena, su questo a volte qualcosa investo.
Nella classifica della gravità degli
errori, devo dire, tu sei scesa di parecchio. La prima volta che ci
siamo conosciuti ti avevo messa al vertice. Poi mi sono accorto che
c'è molto di peggio: tutti coloro e tutte coloro che afferrano
qualunque bandiera porti, o possa eventualmente portare, profitto.
Su questo ho l'impressione che siamo
nella stessa barca. Anche tu sputi sulle opportuniste che fanno del
femminismo un investimento.
Nella tua battaglia assomigli ad una
Giovanna d'Arco, te lo dico con ammirazione ma non riuscirei mai a
fare altrettanto. Perché non basta voler credere. La fede e la
ragione devono andare di pari passo. Non si può prendere una
qualsiasi bandiera perché si ha bisogno di una bandiera, di una
battaglia, di uno scopo.
E alla fine devo ammettere che la tua
fede nel femminismo la trovo un po' patetica. Ammiro il tuo
battagliare, meno la tua bandiera.
Perché è vero. C'è una violenza
contro le donne, come c'è una violenza contro gli uomini. Noi tutti
siamo attori e vittime di questa violenza universale. Di questo mondo
senza parole dove conta solo il potere, la forza. La forza senza la
parola è violenza. La parola fa dell'essere umano un animale che può
intendersi con gli altri animali parlanti sulla base di ragionamenti
e principi che vanno oltre lui, che possono mettere d'accordo amici e
nemici, per i quali ciascuno può sacrificare volontariamente il
proprio interesse e anche se stesso.
Il nostro mondo ha fatto della parola
uno strumento e anziché servirla se ne serve per i propri interessi.
Così hanno inventato quelle due nuove
parole: femmicidio e femminicidio, senza curarsi della precisione
della definizione. Adequatio rei et intellectus, diceva il dottore
angelico. Ma che cosa è cosa: femmicidio e femminicidio non
corrispondono a cose, ma ad intenzioni, a voglia di potere, a
frustrazioni mai sopite, a programmi disonesti per la conquista del
Palazzo.
La leva con cui hanno scardinato il
linguaggio ha il fulcro su un pronome: “voi”. Senti dire: “voi
uomini”, ti guardi attorno e indietro per capire di chi parlano e
ti accorgi che parlano di te e dell'altro e dell'altro ancora, di una
marea di persone che non hanno nulla in comune salvo, forse, un
pisello.
E ti domandi come mai ci siano alcuni
che, pur avendo anche loro, forse, il loro pisellino, sono già
saltati nel coro che declama il: “voi uomini”. Quelli che sono
nel coro, loro sì hanno qualcosa in comune tra loro: hanno cravatte
colorate, giacche alla moda, scarpe lucide, mani ben curate.
Quando senti dire “voi uomini”, ti
viene da dire “voi donne”. Così si comincia a parlare, e dopo
ore, a volte giorni, ti domandi perché dentro sei sempre più
disperato, cosa c'è che ti rode. Il fatto è che ti hanno trascinato
nel loro errore, perché non esiste il “voi uomini” come non
esiste il “voi donne”, e se a volte dici che una donna è più
portata ai rapporti affettivi che al ragionamento, ci devi stare
attento perché non è sempre così. C'è anche una Montalcini, per
intenderci.
Alla fine ti accorgi che non sono
parole, che credevi di parlare, ma ripetevi ossessivamente “papè
satan”, perché il “voi” è una bugia, non c'è una classe, un
soggetto che corrisponda alla parola “uomini” o “donne” e che
abbia virtù morali o interessi materiali comuni. Non c'è, abbiamo
frustato l'acqua per nulla, questo è il fatto. Nessuna punizione e
nessun premio dato ad un uomo o ad una donna in quanto uomo o donna,
fa fare un solo passo avanti a me o a chiunque altro o all'umanità
nel suo complesso.
Se c'è una battaglia da fare, che
valga la pena fare, è contro questo mezzogiorno di vuoto, questa
moda di parlare senza pensare, questo vivere alla giornata, questa
rincorsa ossessiva e demenziale ai propri interessi particolari.
Talvolta mi domando cosa saresti tu
senza il femminismo, senza il tuo impegno politico e sociale. Mi
sento allora in colpa, perché forse quelle bandiere sbagliate ti
fanno migliore di come saresti senza. Perché la mia battaglia contro
le battaglie e contro le bandiere non mi rende neppure un centesimo
di quello che vali tu.
Alla fine sto qui, un po' incerto,
cercando di non farmi travolgere dalla disperazione e dalla
depressione, di ritrovare parole che risuonino di verità. Di
eternità.
Alla fine sto qui e le parole che
cerco, le cerco anche per te.
Nessun commento:
Posta un commento