Amore mio.
Ecco, vorrei dirti solo questo, quando
ti sveglierai tra un paio di ore: amore mio.
Non cercarmi, non mi farò trovare.
Non telefonarmi: il cellulare, come
vedi, è qui, sopra questa lettera.
Non piangere. O forse, al contrario,
piangi, piangi forte. Il pianto per le donne è come le urla e i
pugni sul tavolo per gli uomini: un modo per pretendere i diritti che
si arrogano. Ma io non sarò qui a provare compassione per te,
perciò: piangi pure.
Abbiamo passato insieme trenta anni
della nostra vita, i nostri anni migliori. Quando eravamo giovani,
belli, entusiasti, pieni di speranze.
Ciò che ti tolgo, andandomene ora, è
la parte meno gustosa della torta. L'autunno, la canuzie, la pelle
che si affloscia, gli acciacchi nuovi ogni giorno. Per cui sii
intelligente, almeno una volta, non rimpiangere quello che perdi.
Sai perché me ne vado, non te lo
ripeto.
Solo che, ecco, un morso mi prende lo
stomaco e mi verrebbe da darti un pugno. Un bel pugno forte, ben
piazzato, come nei film.
Perché so già quel che pensi, ma non è vero: non vado dalla mia amante. Né
me ne vado per la mia amante. Me ne vado per te, questa è la verità, perché non ne posso
più del tuo amore. Mi soffoca, mi toglie il respiro.
Non ne posso più di dover giustificare
ogni telefonata che ricevo e ogni sms che invio. Sono stufo di
doverti spiegare perché sono rimasto in ufficio un'ora in più o
perché non ti ho risposto subito al telefono. Ne ho le scatole piene
delle tue litigate se mi metto un po' di profumo sulla barba.
Voglio alzarmi al mattino ed essere
libero di pensare come organizzarmi la serata. Libero di fare
qualunque cosa senza pensare a come tu la interpreti, al doppio senso
che tu ci leggi. Libero di amare senza doverlo dimostrare. Di amare
il cielo sereno e gli orizzonti lontani, il tempo che passa e il
futuro che mi attende.
È il tuo amore che mi consuma.
Adesso poi che hai scoperto il sesso,
mi consumi ancora di più.
Lo ammetto: quando ci siamo sposati eri
un pezzo di figliola, da paura. Sposandoti sapevo che il tempo ti
avrebbe consumata, che novità è? Pensavi forse che non avessi due
neuroni connessi? Lo sapevo e ti ho sposata lo stesso, perché so che
ogni stagione ha i propri frutti. In primavera le ciliege, in
estate i fichi, in autunno uva e nespole. E d'inverno il ricordo e la
nostalgia: tra tutti forse quelli più preziosi.
Perciò la tua ansia oggi è del tutto
fuori luogo: ti guardi le tette e parli di interventi plastici miracolosi, con
un tono di rimprovero, come se fossero avvizzite per colpa mia. E
come se per me ci fosse qualche differenza.
E, se faccio cilecca e non mi si alza
subito, ne fai una tragedia dove mescoli tutto, le tue tette e i tuoi
sospetti sulla mia amante.
Ma anch'io sono cambiato: trenta anni
fa una bionda o un paio di tette mi facevano sussultare. Ricordo: una
volta accompagnavo un frate in autostrada, all'improvviso dietro una
curva compare una prostituta con seni come angurie in bella vista. Credo di essere
avvampato e mi è mancata la parola. Che figura da chiodi!
A quel tempo sembrava che le belle
donne fossero come i vietcong, ti circondavano per ogni dove. C'era
la Schiffer e la Campbell su ogni manifesto e ogni rotocalco a turbare
sonno e veglia. Poi la Parietti, la Ventura, la Hunziker.
Con il tempo sono cambiato. Mi dicono
che a Sanremo Belen ha mostrato una farfallina tatuata all'inguine.
Credo di aver anche visto qualche passaggio, trasmesso e ritrasmesso,
di quella apparizione. Non mi ha smosso un solo pelo.
Ebbene, che male c'è? Mi sta bene
così, la vita è una breve, affannosa corsa verso un traguardo
stupendo: assaporiamo un piccolo antipasto in attesa del vero pranzo
di nozze. Non mi dispiace l'autunno e ancor meno l'inverno.
Ma non posso sopportare ancora i tuoi
sospetti: se non faccio l'amore con te non è perché lo faccio o
vorrei farlo con un'altra più giovane e bella di te. È perché
anche a me è calato qualcosa mentre a te calavano le tette.
Ma per me quello è calato mentre
qualcosa si alzava, quello che calava era quasi un premio, una
vittoria, un sottrarmi allo strapotere del sesso. Nelle osterie si
userebbe un altro linguaggio, ma io non sono mai stato uomo da
osteria, perciò lo penso e non lo scrivo.
Mi angosci quando dici che vorresti
darmi il viagra. Ma dai! Trenta anni fa dovevi avere questa passione
per il sesso. Allora dovevi accorgerti che ero sempre affamato, che
le ragazze che incontravo, quelle con cui lavoravo, mi prendevano in
giro dandomi dell'arrapato. Ci provavo con tutte, dicevano. Già,
perché le donne sentono la fame di sesso, sentono chi non ne fa
abbastanza e anziché capire che proprio quello è il loro terreno
ideale, se ne allontanano ridendo, disgustate.
Adesso, amore mio, sei un po' fuori
tempo. Non ci sono più ciliege, né fichi. Solo qualche nespola
sotto la neve, prima dell'inverno.
Non sono più i giorni della passione.
Potrebbero forse essere i giorni di un diverso, altro amore. Quello
di due complici che si lanciano senza paura nella steppa sconosciuta.
Non abbiamo più nulla da perdere, la nostra vita è alle spalle.
Potremmo gettarci perciò con spavalderia incontro all'ignoto.
Ma per farlo insieme, amore mio,
avresti dovuto amarmi davvero.
Trent'anni fa non capivi quanto
avessi fame di sesso, del puro e semplice, banale sesso fisico, mi
trattavi a volte, mi sembrava, come un pervertito, un malato, un
ossessionato.
Perché Agostino dice che non si
capisce se non ciò che si ama. Ed è vero, senza dubbio. Ma è anche
vero che non si può amare se non ciò che si conosce. Io mi sono sempre
sentito un estraneo ai tuoi occhi, sarà per questo, forse, che non
mi sono sentito amato, e quello che tu chiami amore a me sembrano
smancerie.
Oggi non è cambiato nulla. Allora mi
disprezzavi perché ce l'avevo sempre duro, oggi perché non mi viene
più.
Eppure non è del tutto così. Te lo
voglio dire andandomene, sapendo che non ti guarderò più negli
occhi. Tu lo temevi, lo sospettavi, ed era così. Vicino a lei a me
si drizzava subito.
Non lo so perché. Si dice che al cuore
non si comanda, ma qui si tratta di qualcosa di più profondo,
materiale, carnale del sentimento. Vederla, sentirne l'odore, il
contatto con la sua pelle. Non lo so.
A me risveglia ricordi di montagne
selvagge, di gente crudele e generosa, tristi poeti di un tramonto
malinconico, al di là del mare. Tu vieni da una stirpe padana. Io in
lei risento forse il richiamo di antichi comuni antenati, guerrieri
pazzi e disperati, nomadi non ancora del tutto soggiogati all'aratro.
Al di là di ogni feromone, un uomo
è la propria ragione. So bene che questa per me è come l'estate di
San Martino, l'ultimo bacio dell'estate. Non metto via il cappotto e
non mi preparo ad andare in spiaggia. So che l'inverno ormai è alle
porte.
Io la amo, vedi, più di quel che tu
ami me. Perciò so anche che non posso averla. Devo lasciarla andare,
devo obbligarla ad andare altrove.
Quando ci siamo sposati, io ho promesso
fedeltà non solo a quella magnifica donna che eri, ma anche a questa
vecchietta che sei diventata, perché l'uomo se è uomo ascolta la
propria ragione. Così adesso la mia ragione mi dice chiaramente che
il suo bene di lei è dimenticarmi.
Se avessimo un figlio adesso, lo
crescerei come se fossi suo nonno. Lei farebbe da badante al suo
compagno. Lo so, lo so bene. Non mi faccio illusioni.
Ma vado avanti spavaldo. Come il
seminatore, quando va, piange portando la semente da gettare. Questo
amore del mio autunno, questa mia passione fuori tempo, è la mia
semente. So che non è molto. Ma so che il frutto non dipende da me.
Perciò vado e piango, ma al fondo del mio pianto c'è una letizia
solida. So che così faccio il mio e il suo bene.
Non so se hai capito qualcosa di me o
solo quello che tu vuoi capire. Forse il tuo viso è contorto in una
smorfia di disgusto e dolore, delusione.
Ripassano nella mia memoria infinite
litigate: quando ti arrabbi dici di me cose terribili, come se fossi
il concentrato di tutti i mostri della terra. Poi, senza soluzioni di
continuità, come la cosa più naturale del mondo, mi abbracci e dici
di amarmi. Spiegami come è possibile mettere insieme le due cose.
Come fai ad amarmi e odiarmi allo stesso tempo? Ti accorgi, hai
perlomeno un vago sospetto che le due cose non stanno insieme?
Ma io non riesco a mettere insieme i
tuoi pezzi rotti: quando dici che mi ami, mi risuonano nella mente le
terribili offese di poco prima. Se io sono quel mostro, che significa
il tuo amore? È forse la catena del tuo cagnolino?
Ecco, sono sicuro che sei arrivata a
leggere fin qui e non hai capito nulla. A maggior ragione non posso
più tornare: sarebbe troppo doloroso scoprire come hai frainteso
anche queste semplici cose che ti ho scritto. Quello che per me è
evidente, per te è altro, oltre ogni mia fantasia.
Le cose per me belle e luminose, tu
riesci ad interpretarle come inganni diabolici.
Addio, amore mio.
Vado, nel vento leggero che ti
racconterà per sempre gli orizzonti lontani e sgombri del mio ultimo
viaggio.
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