mercoledì 12 dicembre 2012

Femminicidio #5 e #6



Amore mio.
Ecco, vorrei dirti solo questo, quando ti sveglierai tra un paio di ore: amore mio.
Non cercarmi, non mi farò trovare.
Non telefonarmi: il cellulare, come vedi, è qui, sopra questa lettera.
Non piangere. O forse, al contrario, piangi, piangi forte. Il pianto per le donne è come le urla e i pugni sul tavolo per gli uomini: un modo per pretendere i diritti che si arrogano. Ma io non sarò qui a provare compassione per te, perciò: piangi pure.
Ma non rimpiangermi, non vale la pena.
Abbiamo passato insieme trenta anni della nostra vita, i nostri anni migliori. Quando eravamo giovani, belli, entusiasti, pieni di speranze.
Ciò che ti tolgo, andandomene ora, è la parte meno gustosa della torta. L'autunno, la canuzie, la pelle che si affloscia, gli acciacchi nuovi ogni giorno. Per cui sii intelligente, almeno una volta, non rimpiangere quello che perdi.
Sai perché me ne vado, non te lo ripeto.
Solo che, ecco, un morso mi prende lo stomaco e mi verrebbe da darti un pugno. Un bel pugno forte, ben piazzato, come nei film.
Perché so già quel che pensi, ma non è vero: non vado dalla mia amante. Né me ne vado per la mia amante. Me ne vado per te, questa è la verità, perché non ne posso più del tuo amore. Mi soffoca, mi toglie il respiro.
Non ne posso più di dover giustificare ogni telefonata che ricevo e ogni sms che invio. Sono stufo di doverti spiegare perché sono rimasto in ufficio un'ora in più o perché non ti ho risposto subito al telefono. Ne ho le scatole piene delle tue litigate se mi metto un po' di profumo sulla barba.
Voglio alzarmi al mattino ed essere libero di pensare come organizzarmi la serata. Libero di fare qualunque cosa senza pensare a come tu la interpreti, al doppio senso che tu ci leggi. Libero di amare senza doverlo dimostrare. Di amare il cielo sereno e gli orizzonti lontani, il tempo che passa e il futuro che mi attende.
È il tuo amore che mi consuma.
Adesso poi che hai scoperto il sesso, mi consumi ancora di più.
Lo ammetto: quando ci siamo sposati eri un pezzo di figliola, da paura. Sposandoti sapevo che il tempo ti avrebbe consumata, che novità è? Pensavi forse che non avessi due neuroni connessi? Lo sapevo e ti ho sposata lo stesso, perché so che ogni stagione ha i propri frutti. In primavera le ciliege, in estate i fichi, in autunno uva e nespole. E d'inverno il ricordo e la nostalgia: tra tutti forse quelli più preziosi.
Perciò la tua ansia oggi è del tutto fuori luogo: ti guardi le tette e parli di interventi plastici miracolosi, con un tono di rimprovero, come se fossero avvizzite per colpa mia. E come se per me ci fosse qualche differenza.
E, se faccio cilecca e non mi si alza subito, ne fai una tragedia dove mescoli tutto, le tue tette e i tuoi sospetti sulla mia amante.
Ma anch'io sono cambiato: trenta anni fa una bionda o un paio di tette mi facevano sussultare. Ricordo: una volta accompagnavo un frate in autostrada, all'improvviso dietro una curva compare una prostituta con seni come angurie in bella vista. Credo di essere avvampato e mi è mancata la parola. Che figura da chiodi!
A quel tempo sembrava che le belle donne fossero come i vietcong, ti circondavano per ogni dove. C'era la Schiffer e la Campbell su ogni manifesto e ogni rotocalco a turbare sonno e veglia. Poi la Parietti, la Ventura, la Hunziker.
Con il tempo sono cambiato. Mi dicono che a Sanremo Belen ha mostrato una farfallina tatuata all'inguine. Credo di aver anche visto qualche passaggio, trasmesso e ritrasmesso, di quella apparizione. Non mi ha smosso un solo pelo.
Ebbene, che male c'è? Mi sta bene così, la vita è una breve, affannosa corsa verso un traguardo stupendo: assaporiamo un piccolo antipasto in attesa del vero pranzo di nozze. Non mi dispiace l'autunno e ancor meno l'inverno.
Ma non posso sopportare ancora i tuoi sospetti: se non faccio l'amore con te non è perché lo faccio o vorrei farlo con un'altra più giovane e bella di te. È perché anche a me è calato qualcosa mentre a te calavano le tette.
Ma per me quello è calato mentre qualcosa si alzava, quello che calava era quasi un premio, una vittoria, un sottrarmi allo strapotere del sesso. Nelle osterie si userebbe un altro linguaggio, ma io non sono mai stato uomo da osteria, perciò lo penso e non lo scrivo.
Mi angosci quando dici che vorresti darmi il viagra. Ma dai! Trenta anni fa dovevi avere questa passione per il sesso. Allora dovevi accorgerti che ero sempre affamato, che le ragazze che incontravo, quelle con cui lavoravo, mi prendevano in giro dandomi dell'arrapato. Ci provavo con tutte, dicevano. Già, perché le donne sentono la fame di sesso, sentono chi non ne fa abbastanza e anziché capire che proprio quello è il loro terreno ideale, se ne allontanano ridendo, disgustate.
Adesso, amore mio, sei un po' fuori tempo. Non ci sono più ciliege, né fichi. Solo qualche nespola sotto la neve, prima dell'inverno.
Non sono più i giorni della passione. Potrebbero forse essere i giorni di un diverso, altro amore. Quello di due complici che si lanciano senza paura nella steppa sconosciuta. Non abbiamo più nulla da perdere, la nostra vita è alle spalle. Potremmo gettarci perciò con spavalderia incontro all'ignoto.
Ma per farlo insieme, amore mio, avresti dovuto amarmi davvero.
Trent'anni fa non capivi quanto avessi fame di sesso, del puro e semplice, banale sesso fisico, mi trattavi a volte, mi sembrava, come un pervertito, un malato, un ossessionato.
Perché Agostino dice che non si capisce se non ciò che si ama. Ed è vero, senza dubbio. Ma è anche vero che non si può amare se non ciò che si conosce. Io mi sono sempre sentito un estraneo ai tuoi occhi, sarà per questo, forse, che non mi sono sentito amato, e quello che tu chiami amore a me sembrano smancerie.
Oggi non è cambiato nulla. Allora mi disprezzavi perché ce l'avevo sempre duro, oggi perché non mi viene più.
Eppure non è del tutto così. Te lo voglio dire andandomene, sapendo che non ti guarderò più negli occhi. Tu lo temevi, lo sospettavi, ed era così. Vicino a lei a me si drizzava subito.
Non lo so perché. Si dice che al cuore non si comanda, ma qui si tratta di qualcosa di più profondo, materiale, carnale del sentimento. Vederla, sentirne l'odore, il contatto con la sua pelle. Non lo so.
A me risveglia ricordi di montagne selvagge, di gente crudele e generosa, tristi poeti di un tramonto malinconico, al di là del mare. Tu vieni da una stirpe padana. Io in lei risento forse il richiamo di antichi comuni antenati, guerrieri pazzi e disperati, nomadi non ancora del tutto soggiogati all'aratro.
Al di là di ogni feromone, un uomo è la propria ragione. So bene che questa per me è come l'estate di San Martino, l'ultimo bacio dell'estate. Non metto via il cappotto e non mi preparo ad andare in spiaggia. So che l'inverno ormai è alle porte.
Io la amo, vedi, più di quel che tu ami me. Perciò so anche che non posso averla. Devo lasciarla andare, devo obbligarla ad andare altrove.
Quando ci siamo sposati, io ho promesso fedeltà non solo a quella magnifica donna che eri, ma anche a questa vecchietta che sei diventata, perché l'uomo se è uomo ascolta la propria ragione. Così adesso la mia ragione mi dice chiaramente che il suo bene di lei è dimenticarmi.
Se avessimo un figlio adesso, lo crescerei come se fossi suo nonno. Lei farebbe da badante al suo compagno. Lo so, lo so bene. Non mi faccio illusioni.
Ma vado avanti spavaldo. Come il seminatore, quando va, piange portando la semente da gettare. Questo amore del mio autunno, questa mia passione fuori tempo, è la mia semente. So che non è molto. Ma so che il frutto non dipende da me. Perciò vado e piango, ma al fondo del mio pianto c'è una letizia solida. So che così faccio il mio e il suo bene.
Non so se hai capito qualcosa di me o solo quello che tu vuoi capire. Forse il tuo viso è contorto in una smorfia di disgusto e dolore, delusione.
Ripassano nella mia memoria infinite litigate: quando ti arrabbi dici di me cose terribili, come se fossi il concentrato di tutti i mostri della terra. Poi, senza soluzioni di continuità, come la cosa più naturale del mondo, mi abbracci e dici di amarmi. Spiegami come è possibile mettere insieme le due cose. Come fai ad amarmi e odiarmi allo stesso tempo? Ti accorgi, hai perlomeno un vago sospetto che le due cose non stanno insieme?
Ma io non riesco a mettere insieme i tuoi pezzi rotti: quando dici che mi ami, mi risuonano nella mente le terribili offese di poco prima. Se io sono quel mostro, che significa il tuo amore? È forse la catena del tuo cagnolino?
Ecco, sono sicuro che sei arrivata a leggere fin qui e non hai capito nulla. A maggior ragione non posso più tornare: sarebbe troppo doloroso scoprire come hai frainteso anche queste semplici cose che ti ho scritto. Quello che per me è evidente, per te è altro, oltre ogni mia fantasia.
Le cose per me belle e luminose, tu riesci ad interpretarle come inganni diabolici.
Addio, amore mio.
Vado, nel vento leggero che ti racconterà per sempre gli orizzonti lontani e sgombri del mio ultimo viaggio.

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