giovedì 30 maggio 2013

Il buco 2


Il buco 2

«Allora, vuole che parliamo di femminismo?»
La sfida di Luisella mi giunge dal buio, sento il suo respiro, il suo profumo, il calore del suo corpo. Immagino il seno perfetto come le generose scollature l'hanno mostrato. Vorrei allungare la mano e stringerlo, sentirlo, accarezzarlo, leccarlo. Mi fermo a metà, intimorito da cosa può pensare o dire.
«Quando ero giovane avevo diverse amiche femministe, andavamo molto d'accordo. Più con loro che con le ragazze della parrocchia, nonostante io fossi un cattolico militante a tempo pieno.»
«Davvero? Non lo avrei mai immaginato.»
«Che da giovane fossi impegnato in politica?»
«No, che lei avesse avuto amiche femministe. E come è andata, cosa facevate, di cosa discutevate?»
«Erano delle ragazze in gamba, si erano prese un appartamento in un quartiere malfamato, una specie di comune. Andavo a trovarle, mangiavo la pastasciutta da loro. Una volta a tavola c'era una giovane ragazza, una prostituta con cui avevano fatto amicizia. Io prima di iniziare a mangiare mi feci il segno della croce, automaticamente, senza pensare. In seguito mi dissero che la ragazzina si era preoccupata di avermi offeso perchè aveva bestemmiato. Poi andavamo in giro in autostop, erano altri tempi. C'erano comunità agricole, artigiane, di autoproduzione, dove le nostre vite e i nostri interessi si intersecavano.»
«E dopo, vi siete persi di vista?»
«Si. So che una di loro è caduta in depressione e non ne è più uscita dopo che il suo compagno è morto in montagna cadendo da una parete. Ma in genere quel mondo è imploso, mi pare. Chi oggi parla di femminismo intende qualcosa che non ha più nulla a che fare con quello della mia giovinezza. Con il nudismo esibito, la liberazione sessuale, i figli dei fiori, l'antimilitarismo. Noi cattolici radicali e le femministe, la sinistra sociale e militante, avevamo tanti punti in comune e anche tante distanze incolmabili. Con il femminismo di oggi sono rimaste solo le distanze.»
Luisella tace. Parlando sono scivolato in un altro mondo, quel mondo nel quale la vita era solo promessa, attesa, in cui il futuro era tanto e il passato leggero.
«È vero» riprende lei. «Hanno lo stesso nome ma sono cose diverse. Oggi si vuole far passare per femminismo uno degli strumenti del controllo sociale, una delle forme con cui il potere si perpetua.»
«Strano che su questo siamo d'accordo» le faccio eco. Mi rendo conto che è un linguaggio che conosco, come se tornassi in un paese che ho girato in lungo e in largo, come se risentissi dopo tanti anni la lingua della mia infanzia.
«Il femminismo è anzitutto decostruzione degli stereotipi di genere, quelli che ti vogliono imporre da quando nasci perchè tu sia funzionale al tuo ruolo sociale e possa garantire il mantenimento delle relazioni di sfruttamento e dominio. Una coscienza autenticamente femmista inizia dal riconoscimento del diritto all'autodeterminazione anche riguardo al proprio ruolo di genere. Perchè non sta scritto da nessuna parte che la donna debba avere ruoli di cura e assistenza e l'uomo di produzione e di potere. Perchè ciascuno ha il diritto di scegliere quale ruolo vuole avere e quale significato vuole attribuire alla propria vita. Oggi al contrario si potrebbe parlare di sindacalismo femminile, di un linguaggio funzionale al riconoscimento di chi appartiene ai gruppi di potere illuminati e di esclusione degli altri. Il linguaggio femminista non è più femminismo, è una forma di potere e dominio.»
La sua voce calda mi avvolge e mi accarezza nel profondo, sembra che stia tenendo un comizio ma il suono delle parole non è quello di un comizio ma di una dichiarazione d'amore. Come se dicesse: ti dico queste cose perchè so che mi capisci, che sei dei nostri.
Mi sento a disagio, combattuto dal desiderio di baciarla e dalla necessità di rispettare le convenienze. Accendo il cellulare e guardo l'ora. Sono le 18:58, siamo bloccati qui al buio già da venti minuti. Strano che non si sentano voci né rumori, strano che ancora non ci siano segni che stanno cercando di tirarci fuori.
«Cosa staranno facendo? Perchè non si spicciano?», si domanda lei. Non so cosa risponderle. Restiamo di nuovo al buio, così riprendo il filo del ragionamento. «È vero, ci sono molte cose sulle quali ci possiamo trovare d'accordo. È l'impianto base tuttavia che non potremo mai condividere.»
«Se partiamo da quello su cui siamo d'accordo, forse è meglio, forse le differenze sono meno differenti quando ci si capisce e ci si stima di più. Non credi?»
Sobbalzo colpito sul vivo: è passata al tu, con la massima tranquillità dopo settimane che ci diamo del lei.
«Dobbiamo decostruire l'immaginario collettivo, riconoscere le catene con le quali noi stessi ci imprigioniamo e ci opprimiamo a vicenda, dobbiamo comprendere con quali meccanismi noi stessi forniamo al potere le catene con cui ci lega.»
«Bel concetto, di chi è? Di Marx?» faccio io.
«No, di Etienne de la Boetie» risponde lei asciutta.
Che figura di cacca! E chi sarà mai costui? mai sentito nominare. Difficile parlare con una così, chissà se a letto mi farebbe sentire comunque inferiore.
«Il nostro nemico non sono gli uomini» continua lei. «Il nostro nemico è il potere, il patriarcato che disegna il ruolo delle donne e degli uomini secondo schemi rigidi, quegli stessi schemi con i quali Mussolini destinava le donne alla riproduzione e al focolare e gli uomini al lavoro e alla guerra.»
«Quindi tu proponi che ogni essere umano scelga se vuole essere maschio o femmina, se partorire o inseminare?»
«Perchè no? E in ogni caso non accetto che siano altri a scegliere per me, al mio posto, in mio nome e dichiarando di fare il mio bene.»
«Fino ad un certo unto ti seguo, Luisella, oltre no. Noi nasciamo maschio e femmina, ci sono differenze sessuali che non possiamo scegliere noi. Dobbiamo riconoscerle e negarle ci rende infelici.»
«Si tratta solo di costruzioni culturali. Fai crescere un maschio con le bambole e una femmina con i fucili e vedrai che da grandi faranno scelte diverse.»
Non le rispondo. I nostri cuori che battono nel buio, noi soli nell'universo siamo già abbastanza. Non avrei quel turgore nei pantaloni se respirassi il profumo di Luigi o Antonio. Luisella è una donna a prescindere dall'educazione che ha ricevuto, ragiono tra me, e io vorrei scoparla a prescindere dal fatto che abbia giocato a bambole o a soldati.
La sento spazientirsi, accende il tablet e controlla l'ora. Sono le 19:30.
«Avevi impegni questa sera?», cerco di essere ironico.
«Preparare la cena per mia figlia e il mio compagno, dovevo passare dal supermercato, ma ormai è tardi.»
Non c'è nulla di più deprimente, quando una donna ti attrae sessualmente, di un qualsiasi riferimento al suo compagno o marito o fidanzato che sia. Tutto sommato però vi intravvedo una via d'uscita nella quale mi affretto ad infilarmi, per sottrarmi al turbamento della sua vicinanza.
«Hai un compagno? Credevo che le femministe fossero tutte lesbiche», scherzo.
«Mi hai appena raccontato di quella tua amica che è caduta in depressione dopo la morte del suo compagno: perchè dici che siamo tutte lesbiche? Sai bene che il lesbismo per noi è una libera scelta e che combattiamo l'omofobia a prescindere dal nostro personale orientamento. Si ho un compagno, andiamo molto d'accordo.»
«Condivide la tua visione del mondo? Chi comanda in casa?»
«Certo che la condivide e in casa non c'è nessun bisogno di qualcuno che comandi: le scelte si condividono con libertà e intelligenza. Se una persona non è abbastanza intelligente per arrivare ad una soluzione condivisa, è meglio lasciarsi, non credi? E tu sei sposato?»
«Più o meno. Ci siamo separati dieci anni fa.»
«Separati? Non è una scelta molto “cattolica”, o sbaglio? Non siete quelli che votarono contro la legge sul divorzio? Adesso però siete i primi a divorziare. È più facile trovare comunisti che vivono insieme una vita, magari senza sposarsi, che cattolici.»

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