giovedì 28 marzo 2013

Vegetalebani

Ritornano con la costanza dei peggiori fanatici in nome dell'amore per gli animali con uno sguardo che trasuda un odio incontenibile per gli umani.
Sono gli animalisti, i fanatici dei diritti degli animali. I quali adesso vorrebbero arruolare papa Francesco nelle loro fila . Per fortuna che il papa argentino è abituato a questi tentativi di strumentalizzazione e sa riconoscere il puzzo dell'eresia.

È una forma della follia contemporanea, perchè Dio confonde la ragione di coloro che vuole perdere.



Non si tratta di una eresia nuova, anzi, il chè toglie loro ogni scusante, perchè se fosse una novità avrebbero perlomeno la giustificazione che nessuno glielo aveva mai detto che erano fuori di testa.

Ma di follie alimentari la storia è piena, basate sul giusto principio che siamo quello che mangiamo puntano all'obiettivo di evitare ogni contatto con il male. Folli di quella follia che animò il britannico Pelagio convincendolo che l'uomo può giungere alla salvezza con le proprie forze.

Da un'altra parte del mondo una religione millenaria spinge il principio dell'ahimsa (non-violenza in traduzione barbara, innocenza per coloro che conoscono l'italiano) al punto da spazzare la strada dove camminano per non schiacciare inavvertitamente qualche insetto.

Ma il buon senso lo diceva a Virgilio che i Saturnia Regna non sono il regno dell'uomo, ma il dono gratuito di Dio. Solo un Dio ci può salvare, ripete Heideger dopo duemila anni. Solo un Dio: la pretesa di salvarsi con le proprie mani produce disastri, guerre, crociate, lager, gulag.

La leggenda del vegetarianesimo animalista viene messa bene in ridicolo nel
cartoon Madagascar: quando i suoi amici si accorgono di aver a che fare con un leone
comprendono che per Alex loro sono bistecche. Il bambino capisce che in fin dei conti è ipocrita dare un valore diverso alla bistecca fornita dallo zoo rispetto a quella che viene cacciata direttamente.
Capiscono anche che gli squali vegetariani dell'altro grande cartoon, Nemo, hanno lo stesso valore dell'attesa della palingenesi
virgiliana, i bambini. Poi, crescendo, imparano che vivere è contaminarsi, la violenza è come la polvere del sentiero: chi cammina si sporca. L'importante è un bel bagno, a fine viaggio.

Chi non si vuole impolverare, non cammina, e fin qui nulla di male. Il problema è che i vegetalebani vorrebbero convincere tutto il mondo ad essere "puro" come loro. E chi non si purifica, va "convinto" con le buone o con le cattive = eliminato, sacrificato, cancellato dalla storia.

Questa ansia purificatoria distingue le eresie dalle religioni: i jainisti da millenni perseguono ideali di purezza irraggiungibili per la maggior parte di questi vegetalebani, ma si contentano di essere loro puri, e quelli convinti dalla loro testimonianza. I vegetalebani non si contentano: loro vogliono correggere tutto il male del mondo. Chi non sente puzza di zolfo, si sturi il naso!

Tutto questo non ha nulla a che fare con Gandhi. Ci tengo a precisarlo perchè Gandhi è uno dei miei riferimenti valoriali e questi fanatici armati di  aforismi e sentito dire vorrebbero arruolarlo tra i loro adepti, con il vantaggio che il Mahatma non può contraddirli come invece può fare il Pontefice romano vittima di identica campagna acquisti.

Il nucleo centrale del pensiero gandhiano non è la nonviolenza, ma la Verità, con la V maiuscola. Citazione a memoria: "una volta dicevo che Dio è la Verità, adesso penso che la Verità sia Dio". Morì mormorando il nome di Dio: Oh, Rama. La Forza della Verità - Satyagraha - è la manifestazione del sacro nella storia, la ierofania del divino nelle cose di tutti i giorni. In Sudafrica diserbando un campo incolto consigliava di non uccidere i numerosi serpenti velenosi che lo popolavano e vide nel fatto che nessuno fu morso una benedizione di Dio per la loro impresa.

La manifestazione di Dio include il male, una creazione intera che geme e soffre, non solo l'uomo malvagio. Il male non è solo frutto delle azioni dell'uomo. Il mistero del male è più grande e ci trascende, permea il nostro mondo ad ogni livello, dalle piante che crescendo soffocano le pianticelle più piccole ai pesci grandi che mangiano i piccoli, fossero anche i propri figli.

I vegetalebani reagiscono giustamente all'indifferenza con cui l'uomo contemporaneo guarda il dolore della creazione. L'industrializzazione della sofferenza, le lunghe file di gabbie anonime nelle quali esseri viventi vengono trattati come materia bruta, come sabbia o acqua.

Ma anzichè richiamare l'imbecille nostro contemporaneo alla coscienza, alla presenza, al sapere cosa fa e che la bistecca è della stessa natura del cavallo che si porta a passeggio, propagandano un ammuffito pelagianesimo come l'avessero inventato loro.

A Pasqua mangerò agnello: confido che è un agnello che io ho allevato, che
conosco e mi conosce, che mangia il pane dalla mia mano, che è vissuto sinora libero. Non lo uccido con indifferenza ma sapendo bene che la sua e la mia sofferenza mescolate insieme fanno la trama di questo mondo, trama per la quale io e lui attendiamo impazienti un Salvatore.

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