domenica 3 marzo 2013

Accidenti se è brava

 
Accidenti se è brava, tanto di cappello.
Vuoi vedere che questa volta Dorotea ci ha preso?
In due giorni ha sistemato l'agenda che Carlotta aveva vandalizzato per vendetta quando non le abbiamo rinnovato il contratto. Poi risponde al telefono che è uno schianto: meglio che di persona, molto meglio. La prima volta che le ho telefonato ci sono rimasto male quasi avessi sbagliato numero. Una voce calda, sensuale quel tanto che basta, professionale e amichevole al tempo stesso, rapida, precisa nel cogliere il succo del discorso.

Con le lingue è una favola, passa dall'inglese al francese come se bevesse un caffè. Accidenti, difficile credere che a quaranta anni suonati, quasi cinquanta (guarda un po', mi rendo conto adesso che non conosco precisamente la sua età. Domandarlo non si può, con le donne non è educato) una con tutte queste doti non abbia ancora un posto stabile nella redazione di un giornale o nella segreteria di un manager.
Ha anche qualche difetto, ammettiamolo. Ad esempio per fare bella figura si porta il lavoro a casa. Non mi piace perchè nei decenni che ho passato ad assumere e licenziare collaboratrici (al novanta per cento donne, già) ho imparato a riconoscere quelle che ti daranno problemi con più probabilità: quelle che all'inizio si impegnano di più per fare bella figura, quelle che vorrebbero farti credere che per loro non c'è orario, che sono a disposizione ventiquattro ore al giorno, quelle che puoi chiedere quello che vuoi. Alla fine ne fanno una questione personale: ma come con tutto quello che mi sono impegnata, con tutto quello che ho dato. Come se dipendesse da me o da loro. Certo, se ti impegni probabilmente lavorerai di più di chi non si impegna, ma non è automatico. Ci vuole tempo, alle volte servono anni prima di raccogliere quello che hai seminato.
Io preferisco quelle “patti chiari, amici cari”, quelle che timbrano puntuali all'entrata e all'uscita, che non si perdono in convenevoli durante l'orario di lavoro, quelle che non strafanno ma sanno mantenere nel tempo le loro promesse. Quelle che si fermano anche per prendere un caffè, ma è un caffè oggi e un caffè tra un anno, mentre quelle del primo tipo, quelle che la prima settimana arrivano un'ora prima e vanno via due dopo, che lavorano dieci ore di fila senza pausa, quelle che lavorano anche a casa, bhè proprio quelle dopo qualche mese passano il tempo alla macchinetta del caffè che se gli misuri la pressione ti scoppia l'apparecchio.
Va bene, se devo trovarle un difetto è che Luisella è troppo brava e si impegna troppo. Ci vorrà del tempo perchè io abbassi le difese, ho imparato a mie spese a nutrire i miei sospetti, ma se lo merita prima o poi le darò fiducia.
Oggi è venuta al lavoro con una minigonna in jeans, assolutamente inadatta ad un ufficio, che quando accavalla le gambe mostra le mutande nere. Ma a Dorotea piace e a me non dispiace. Non so come se la caverà quando dovremo uscire in pubblico, che è il succo del nostro lavoro alla fine: lanciare delle linee di produzione organizzando eventi con nomi famosi che si fanno pubblicità perchè i giornali ne parlano e nel contempo parlano dell'occasione per la quale essi si sono riuniti e così senza che nessuno se ne accorga si fa pubblicità a quel marchio o a quella linea. In quelle occasioni una minigonna in jeans sarebbe una catastrofe, ma vedremo. Finchè deve gestire l'agenda e il telefono, si può vestire come le pare, già.
A vederla vestita così mi è venuto in mente che sia femminista e la cosa mi ha messo allegria, come quando senti parlare dei mammuth e di qualche altra specie estinta. Sono andato alla sua scrivania e mi sono seduto su di un angolo guardandola dall'alto al basso. Per un po' è andata avanti come se non ci fossi, scartabellando le schede clienti e confrontando i numeri con l'agenda informatica. Ogni tanto mi gettava un'occhiata interrogativa come al gatto sul davanzale. Finalmente si è decisa a fermarsi e mi ha chiesto se mi servisse qualcosa. Le ho risposto di sì e le ho fatto alcune domande su come organizzava l'agenda e su alcuni contatti che aveva avuto. Lei all'inizio mi rispondeva sulle sue, come se fosse sorpresa che mi occupassi del suo lavoro. È convinta, o era convinta, che qui dentro il capo nella sostanza fosse Dorotea e la cosa mi diverte. Perchè fa parte della mia strategia tirare su dei collaboratori a cui faccio credere di avere più autonomia di quanta ne abbiano, e quando sono pronti li prendo anche come soci.
Perchè questa è la mia storia. Perchè senza raccomandazioni l'unica cosa che si può fare è quella di inventarsi il lavoro e se il lavoro te lo inventi non riesci a concepire chi invece il lavoro lo chiede. Non riesco a concepire che la gente non si immedesimi in quello che fa. Eppure dopo decenni di illusioni mi sono reso conto che quelli che non hanno la mentalità dei dipendenti sono la minoranza e quelli conviene assorbirli, prenderli nella barca e non lasciarseli scappare. Il che non vuol dire che io molli le redini, ci mancherebbe, ché se solo mi sfiorassse il sospetto che Dorotea si allarga più del ragionevole, ci metto due minuti a lasciarla a casa.
Luisella perrciò si è convinta che Dorotea sia la socia di maggiornaza, solo per il fatto che la maggior parte delle decisioni qui dentro le prende lei e io sembro distante e non coinvolto. Il mio interessamento perciò la coglie in contropiede. Dopo che l'ho interrogata una decina di minuti su quel che sta facendo, stupendola perchè le ho dimostrato di conoscere i particolari del suo incarico, le chiedo se posso farle una domanda in confidenza.
Lei mi guarda con i suoi occhi verdemarino e replica con tono di sfida: «Dica pure».
«Posso chiederle se è femminista?» dico io.
Lei mi fissa e risponde gelida: «Si, perchè? È un problema?»
Ci mancherebbe, dico io, la politica della mia azienda e mia personale è che qui non si fanno distinzioni o discriminazioni basate sul sesso, sulla razza o sulle opinioni politiche o religiose. Era solo una curiosità personale. Sorrido, mi alzo e mi allontano.
Mi accorgo che mi ha messo di buon umore, come se fossi tornato al liceo quando le ragazze erano tutte femministe e la vita scorreva via spensierata. Porto dentro qualcosa di caldo, quasi avessi rivisto una cara amica, o avessi scoperto una amicizia nuova.
So bene che non posso permettermi troppe confidenze: Gertrude ha seguito tutta la discussione dalla sua scrivania ed entro pausa pranzo ne saranno informati anche gli autisti. Gli equilibri in una azienda con tutte queste donne sono difficili. Per fortuna c'è Dorotea, sulla cui complicità e riservatezza posso contare come se fosse una sorella. Quando voglio restare solo con una donna è lei che mi capisce al volo e trova la combinazione giusta perchè le cose vadano come devono andare. Non siamo ancora a quel punto però: Luisella è una donna in gamba, una lavoratrice, non ci sono ragioni per andare oltre.
Ma non si sa mai.




NB: Imprenditore Precario, diario di un imprenditore qualunque, è un personaggio di pura, masochistica fantasia, e un riuscito tentativo di evasione sociale e politica. Ogni riferimento a fatti e persone è accuratamente selezionato e voluto nella speranza di provocare quel minimo di sussulto di coscienza che ci faccia sperare di non vivere nel paese degli zombie. So bene che Malafemmina le cose le vede da un altro punto di vista, ma la cosa non mi preoccupa. Affatto.

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