Tutte le commesse sono infuriate per
l'apertura domenicale dei supermercati.
Sembra una questione di genere: si
trovano a protestare e sono tutte donne.
In generale ragazze giovani, ma a volte
con qualche anno in più.
Agata ha cinquantadue anni, corpo
tozzo, capelli castani. Una antica bellezza le risplende ancora negli
occhi e sulle labbra.
Deve lavorare. Ne farebbe volentieri a
meno ma la ditta di trasporti del marito non rende abbastanza per
essere tranquilli.
Perciò lavora come cassiera al
supermercato.
Come tutte le altre è arrabbiata. La
domenica vorrebbe restare a casa. Non è una questione religiosa,
infatti lei a messa ci va di rado. A volte le è capitato di non
andarci neppure a Natale o Pasqua.
Non è neppure per seguire i figli: ha
una figlia sola di trent'anni che vede raramente.
Neppure per fare le faccende di casa o
per occuparsi del marito. Suo marito, Giacomo, ha cinquantacinque
anni e poca passione. Quando è a casa si piazza davanti alla
televisione. Non fa altro. Talvolta a letto fa qualcosa di più, ma
non molto.
Lavorare la domenica è triste,
deprimente. La settimana scivola via che neppure te ne accorgi, e ti
chiedi se hai vissuto o hai solo sognato di vivere. Almeno la
domenica vorrebbe essere libera di non fare nulla. Di vedersi con le
amiche o di andare per vetrine.
Va bene, è un cane che si morde la
coda. Le piacerebbe andare per vetrine e magari, a volte, entrare e
comprare. Ma se lei entra e compra, qualcuno deve pur lavorare e
tenere aperto il negozio.
Sia pure: la domenica fai un giro in
centro a guardare le vetrine e basta. Se vedi qualcosa che ti piace,
torni un giorno feriale. Così quadra, ma quadra solo nella sua
testa, perché sembra che stiano tutti facendo a gara a tenere aperto
sempre. Tra un poco anche la notte.
Discutendo con un sindacalista quello
le diceva che ormai i supermercati vendono il sabato e la domenica di
più di tutti gli altri giorni messi insieme. Potrebbero chiudere il
lunedì o il martedì o anche sia lunedì che martedì e, perché no?
anche mercoledì.
Che mondo pazzo considera Agata.
Lei ha solo bisogno di un po' di soldi.
A cinquanta anni suonati non hanno grandi necessità. Si sono
abituati a non fare ferie, a non uscire a cena. L'affitto, le
bollette, il mangiare, qualche vestito ogni tanto. Punto.
Perciò, per quanto sia arrabbiata, se
il supermercato aprirà la domenica, lei lavorerà la domenica.
Punto. A capo.
In questa domenica di dicembre a lei
tocca il turno pomeridiano, dalle quattordici alle ventuno. Il
posteggio è già quasi pieno, lei lascia l'auto e si avvia
all'ingresso, senza fretta: ha ancora una manciata di minuti a
disposizione.
Saluta il barista simpatico del piano
terra, sale con la scala mobile al primo piano, va a cambiarsi nello
spogliatoio.
Le casse sono tutte in fila, lei dà le
spalle alla cassiera prima e vede le spalle di quella dopo.
Passa i prodotti sopra il lettore
ottico e sta attenta che il bip sia quello giusto. Incassa. Avanti un
altro.
Cerca di sorridere, alcuni giorni è
più facile, altri meno.
I clienti non hanno un volto, sono
tutti anonimi. La domenica si vedono più uomini, ma la maggioranza
comunque sono donne anche la domenica, già. Donne che come lei
devono tirare avanti la baracca facendo i conti e confrontando i
prezzi, attente ad ogni spesa inutile.
Ogni tanto passa la caporeparto a
controllare, ma da lei va raramente. È la più matura, non ce n'è
bisogno. Quella che lavora nella cassa dopo di lei, di cui vede la
schiena e i folti capelli rossi, ha da poco fatto venti anni. È il
perfetto esemplare di oca giuliva. Sempre a caccia di pollastri, per
lei i clienti non sono tutti uguali. E alla sua cassa, guarda un po',
la percentuale di uomini in fila è superiore rispetto a tutte le
altre. Uomini spesso con carrelli mezzi vuoti, vedi un po'.
D'altra parte con quelle tette che
scoppiano sotto la divisa, è naturale.
Tra le colleghe gira voce che sia
andata a letto con il direttore. Forse sono voci maligne, Agata non
ne vuole sapere e non dà corda a coloro che vi accennano. In ogni
caso, anche se fosse, sono affari suoi. Quello che a lei, Agata,
importa, è che non le metta i piedi sopra la testa e al momento non
sembra avere alcun grillo in quel senso. Se anche avesse trombato con
il direttore, non ne ha tratto alcun vantaggio lavorativo, almeno per
quel che lei può sapere. Perciò hanno un buon rapporto, loro due.
Scherzano volentieri, quando si incrociano, si fanno favori quando
una ne ha bisogno. Il favore più comune è un cambio turno,
all'altra interessa spesso essere libera il sabato pomeriggio, e
anche la domenica mattina. Poi la domenica pomeriggio viene senza far
storie, non più di tutte in ogni caso.
Passano i carrelli davanti alla cassa,
passano i prodotti sul nastro trasportatore, passano le ore della
domenica pomeriggio. Suo marito starà seguendo le partite in tv,
suppone lei. In frigo c'è qualcosa da scaldare per la sera, forse
lui la aspetterà, o forse mangerà prima e poi farà un salto in
osteria. Da domani si ricomincia una settimana che non è mai finita.
Si riempie il sacchetto, via uno, sotto
l'altro. Una signora bionda, una coppia di mezza età, una ragazzina
col collo lunghissimo come una giraffa.
La bionda torna indietro con la faccia
truce e lo scontrino in mano. La assale mentre sta ancora passando
gli acquisti di un cliente. Ha sbagliato a fare il conto, dice. Lei
non ha comprato dodici bottiglie di whisky ma due di birra.
Agata le chiede per favore di attendere
un momento. La signora urla come un'isterica che non ha tempo e
questi sono errori inammissibili.
Siamo d'accordo, dodici bottiglie di
whisky non possono essere scambiate con due di birra. Va bene,
sistemiamo subito, ma mi permetta di servire questi signori, poi sarò
subito da lei.
Non c'è niente da fare, quella
continua ad urlare, è una cosa che non le era mai successa, ma chi
le ha dato quel lavoro, con chi è andata a letto per riuscire a
scaldare quella sedia. Agata si chiude in un mutismo impermeabile,
consegna lo scontrino ai clienti che stava seguendo, registra
l'incasso con il bancomat.
La bionda continua ad urlare.
Agata sente la caporeparto alle proprie
spalle. Si volta a guardarla con gli occhi lucidi. La caporeparto
prende in mano la situazione, controlla lo scontrino, la borsa della
spesa della signora, restituisce i soldi, si scusa.
Poi si gira verso Agata: «Vedo
che sei stanca, non ti preoccupare, vai a casa, qui finisco io».
Agata
si avvia allo spogliatoio, si cambia, poi al parcheggio riprende
l'auto e torna a casa.
Ha
ancora nella testa le urla della bionda, sente su di sé gli occhi
delle colleghe, soprattutto della rossa, gli occhi dei clienti, quasi
che
il mondo si fosse fermato
per divertirsi guardandola.
Arrivata
a casa cerca di parcheggiare nel solito posto, ma è occupato. C'è
una ford fiesta rossa. Le sembra di averla già vista quella
macchina, ma non ci fa caso. Si ferma qualche metro più in là,
prende le chiavi dalla borsetta e sale al suo appartamento.
Appena
entrata sente dei rumori dalla stanza da letto. Sopra pensiero apre
la porta e impiega qualche secondo per rendersi conto di ciò che
vede. Il marito sta sbuffando e agitandosi sopra una ragazza mora,
dalle lunghe gambe abbronzate che lo avvinghiano. La conosce bene: è
la sua segretaria, trent'anni
grosso modo.
Agata
è paralizzata, una mano sulla maniglia della porta, la borsetta
nell'altra, il cappotto mezzo sbottonato.
La
segretaria la vede e urla, il marito si blocca, l'altra balza giù
dal letto, afferra i vestiti e fugge via. Passando dalla porta la
urta senza dire nemmeno una parola. Il marito si è girato e la
guarda con la bocca aperta e gli occhi vuoti.
Agata
si siede sulla sedia e tace.
Potrebbe essere sua figlia.
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