domenica 30 dicembre 2012

Femminicidio #16

Com'è un campo di concentramento giapponese? Gianna se lo domanda mentre cerca l'ispirazione per scrivere qualcosa sul femminicidio.
In India hanno ucciso una giovane donna. Stuprata da sei uomini, su un autobus. Davanti agli occhi del fidanzato. Poi gettata giù in strada, come un animale.
Lei, Gianna, in un campo di concentramento giapponese c'era stata, quando suo padre rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò. Strana storia: andare in Giappone per scappare al fascismo ed essere internati per essersi rifiutati di aderire all'ultimo sussulto della dittatura. Cosa c'entra con lo stupro di Damini? Proprio nulla, ma a lei quella domanda ronza nella testa e non se ne va, come la mosca impazzita che sbatte contro il vetro della stanza.

Perchè sono passati settanta anni e negli anni duemila, negli anni della tecnologia, dei diritti civili e delle nuove democrazie, è incomprensibile che ci siano ancora simili delitti.
Ma le donne non sono rimaste a guardare, si sono mobilitate, hanno fermato l'India, che non è un piccolo paese alla periferia del mondo. E' invece un continente, più di un miliardo di persone. Gianna  ha vissuto una vita da militante ed è entusiasta della mobilitazione delle donne indiane: guarda ammirata la donna con una espressione mistica stampata sul volto e un cartello nel quale chiede la castrazione chimica e l'ergastolo per i violentatori. O la bambina con gli occhi chiusi: i criminali dovrebbero essere puniti.
Dovrebbero! Dovrebbero? Certo: devono essere puniti i criminali.
Ma Gianna non ha più l'età per fare la giornalista, lei per scrivere qualcosa ha bisogno di un la, di una nota che le dia l'ispirazione. Poi, quando parte, ecco che la tastiera scorre da sola, le parole note seguono le parole note, un luogo comune dietro l'altro.
Più facile parlare di luoghi comuni che di fatti, perciò ecco che riemerge l'indignazione per i femminicidi e per la sofferenza femminile per i corpi violati, offesi, negati, per l'identità femminile a cui si vuole negare dignità.
Com'è un campo di concentramento giapponese? Perchè un italiano deve essere rinchiuso dai giapponesi per aver rifiutato lealtà ad un regime alla canna del gas? Fascisti e comunisti, male e bene che attraversano il mondo e marchiano il proprio territorio con il sangue dei vinti. Vincitori per un giorno, vinti per sempre.
Smarriti i fascisti nei labirinti della storia, restano i maschilisti, forze delle tenebre che non rinunciano ad imporre il proprio dominio sulle forze luminose e progressive, sulle donne, sul nuovo dio che sorge in questo mondo oscuro. Come i fascisti, i maschilisti colpiscono una donna per educarne mille, perchè il loro ideale è un mondo di donne sottomesse e docili ai loro desideri oscuri.
Contro il sole dell'avvenire, contro la Donna che risplende nelle tenebre, monta la violenza reazionaria, ideologica, androcentrica. Non solo in India, anche in Italia, dove in questo 2012 centoventi donne sono state uccise in quanto donne.
Ma la violenza non fermerà la storia, le donne si uniranno e sconfiggeranno l'oppressore.
Gianna rilegge il suo pezzo, aspira a pieni polmoni la soddisfazione dei luoghi comuni, la sicurezza di sapere che è dalla parte della ragione, del progresso, dell'avvenire. Formatta e spedisce: al Corriere pubblicano senza leggere, è il suo nome che conta.
Un dubbio tuttavia la disturba: si rende contro di non aver scritto nulla di nuovo. Se avesse scritto queste banalità quando ha iniziato a lavorare come giornalista di fortuna a Roma, i suoi pezzi non li avrebbe pubblicati nessuno. Perchè ogni cosa che scriveva allora la scriveva con gli occhi di suo padre. Scriveva, buttava via tutto, riscriveva e ributtava. Finchè non si convinceva che anche suo padre avrebbe sorriso, leggendo.
Per ogni riga erano ore, giorni di lavoro, di ricerche, di indagini sul campo, di notizie e riflessioni vere. Per questo pezzo non ha cercato nè verificato un solo dato, Gianna lo sa. Non sa perchè, forse perchè è stanca, forse perchè è delusa, o forse non c'è il sorriso di suo padre ad attenderla.
Ha una brutta sensazione che le blocca lo stomaco. Forse un thè o un biscotto? O forse è altro ciò di cui ha bisogno?
Forse di verificare chi sono quei 120 femminicidi del 2012?
Digita "femminicidio in Italia" sul muletto e viene fuori una sfilza di voci. Tra le prime la foto di quel prete ligure. No, non va bene. Corregge: "femminicidio in Italia dati". Altra sfilza di voci. Tra le prime il blog di Barbara Spinelli. Va a vedere. Solo fumo, niente numeri. Chissà perchè, si domanda Gianna rivedendo le baracche del campo giapponese, per sapere quante donne vengono uccise in Italia bisogna citare l'ONU. Boh, la prossima volta che vedo Barbara glielo chiedo.
Corregge ancora la ricerca: solo i risultati dell'ultima settimana.
Ancora solo fumo. C'è la pagina delle femministe in carriera, come le chiama lei, quelle della XXVII ora sul Corriere. Ma anche lì non ci sono numeri.
Finalmente qualcosa: un link ad un blog che fa un elenco. Gianna va a leggere dall'inizio, da gennaio 2012.
Dunque, la prima e la seconda donna ammazzate nel 2012 sono prostitute. Gianna è un po' perplessa. In effetti le prostitute sono donne che già vivono sulla pelle una violenza ancestrale. Ricorda la propria adolescenza e le difficoltà economiche: anche lei avrebbe potuto scegliere quella strada, chissà. Non per nulla scrisse molto sulle prostitute. Mestiere pericoloso, soprattutto per gli interrogativi inquietanti che solleva, sull'amore, sulla libertà, sulla dignità.
La terza e la quarta sono una fidanzata e una moglie. Gelosia? Motivi economici? Dagli articoli non si capisce. Ripensa ai suoi amori. A quel pittore con cui fu sposata quattro anni. Allo scrittore che per lei lasciò la moglie. Ogni amore ha un suo rovescio di odio.
Gianna guarda perplessa lo schermo: la quinta è una moglie, la sesta la madre della moglie e la settima la figlia. L'abisso dell'odio, Gianna si sente stringere le viscere. Per uccidere la propria figlia cosa deve avere vissuto quell'uomo? Ripensa allo scrittore con cui visse, al suo tormento interiore che gli faceva scavare dentro l'esistenza umana con la paura di trovarvi sempre e soltanto il vuoto, al fondo di fascisti, comunisti, donne, borghesi, indifferentemente. Tra loro c'erano trenta anni di differenza, era un marito-padre: quanto manca oggi a Gianna la sua voce, il suo pensiero critico e fuori dalla corrente.
Si riprende e sobbalza: l'ottavo femminicidio è il fratello della moglie. Il cognato dell'omicida. Gianna ha una vertigine, le cose non quadrano, i numeri non tornano. Ormai il pezzo è partito, forse è anche già pubblicato, ma che senso ha parlare di centoventi femminicidi se dentro c'è anche un cognato? La stanza sembra le giri attorno, il pavimento fluttua come un campo di grano mosso dal vento.
Torna al motore di ricerca: "censimento India". Vediamo almeno chi sono questi indiani di cui ho scritto. Al censimento del 2011 in India c'erano 1.210.193.000 indiani. Una infinità, un miliardo e duecento milioni. Ventiquattro volte l'Italia, ventiquattro Italie una di fianco all'altra.
Va avanti a leggere, Gianna. Seicentoventiquattro milioni di maschi. Cinquecentoottantasei milioni di femmine. Trentottto milioni di donne in meno.
Trentotto milioni. Come tutto il nord Italia, come se in Italia ci fossero solo maschi. E ancora non ci siamo, perchè in Italia ci sono 26 milioni di maschi italiani e 28 milioni di femmine. Escludendo dunque gli stranieri.
Gianna si passa una mano sulla fronte. Qualcosa non quadra. Perchè in Italia ci sono due milioni di donne in più e in India trentotto milioni in meno?
E tardi per riscrivere l'articolo? Prova a telefonare in redazione, ma quando il telefono squilla riattacca. E cosa gli dice? Che si è accorta che in India mancano al conto trentotto milioni di donne? Altro che i centoventi femminicidi italiani, contando anche il cognato.
Poi l'immaginazione vola: e come sarà la vita per i trentotto milioni di uomini senza donna? Quelli condannati dai numeri a sognare il sesso, a vederlo e invidiarlo?
Trentotto milioni di uomini che vanno per le strade, sugli autobus, nelle case, e sognano, desiderano, soffrono, immaginano. Un giorno, un mese, un anno, una vita. I poveri, gli esclusi. Quelli che una volta si diceva che erano proletari perchè come unica ricchezza avevano i figli. Oggi neppure quello, oggi per trentotto milioni di indiani i proletari sono un miraggio, sono i capitalisti.
Gianna è stanca, è lontana.
Come sarà un campo di concentramento giapponese?


PS Chiedo umilmente scusa a Dacia Maraini che con il suo articolo sul Corriere di oggi mi ha provocato. Che ci vuoi fare, Dacia: le donne provocano, con le minigonne e con gli articoli, e noi poveri maschi vulnerabili ci lasciamo provocare.

PS2 una gentile utente di Twitter mi segnala questo informato studio sul gender gap in India http://www.juragentium.org/topics/rol/it/rondinon.htm

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