giovedì 11 luglio 2013

La certezza della DAT

Un tale, responsabile sanità PD Venezia, ritiene che l'istituzione del registro delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT) da parte del comune di Venezia sia una conquista di civiltà, in quanto aggiunge alle già ampie e consolidate libertà del cittadino veneziano, anche quella di dichiarare anticipatamente quali trattamenti vorrà ricevere nel caso si verificasse tale o tal'altra situazione, e quali no (La Nuova Venezia dell'11/07/2013).

Lo stesso giorno compare su molti quotidiani la notizia che Pietro D'Amico, valente magistrato e giurista, ricorso alla sanità svizzera per ottenere ciò che quella italiana gli negava, cioè l'eutanasia, prestazione sanitaria da lui cercata in quanto affetto da male incurabile, ebbene dopo il decesso sulla base dei dati dell'autopsia si viene a sapere che il giudice Pietro D'Amico non era affetto da tale malattia incurabile.
Le due notizie sono esemplari ed esemplare è il loro casuale sovrapporsi: una larga fetta di troppointelligenti reclama il diritto di stendere per iscritto oggi le proprie ultime volontà per quanto riguarda ciò che accadrà domani. Laddove il giudice D'Amico, in quanto valente magistrato, ci farebbe o ci avrebbe fatto un grande piacere a spiegarci se i suoi diritti siano stati accresciuti o diminuiti di più dalla possibilità di chiedere l'eutanasia in Svizzera o di avere una diagnosi corretta in Italia.
Perchè ciò di cui i troppointelligenti nostrani e foresti non vogliono rendersi conto è che in Italia finalmente in questi giorni la Sanità Fascista, disegnata nel 1929 dal Gran Consiglio del Fascismo, sta trovando la propria piena applicazione. Mussolini a fronte della medicina tradizionale, frutto dell'esperienza cristiana, capì l'enorme potenziale di controllo del consenso che poteva garantire la sanità. Chi di dovere gli fece subito presente che un tale ambizioso progetto non aveva le necessarie coperture finanziarie, perciò l'attuazione nel ventennio fascista fu solo parziale. Furono costruiti gli ospedali, con precisi criteri architettonici ed organizzativi, ma non si pose mano alla disciplina dei medici condotti e della medicina libero professionale. Un grande santo, il medico Giuseppe Moscati,  protestò contro l'egemonia fascista sulla formazione medica, ma rimase inascoltato. L'attacco era rivolto in primo luogo alle strutture di ricovero religiose, che a quel tempo erano la totalità degli ospedali, ma il progetto era ambizioso e totalizzante.
Un ulteriore passo in avanti fu fatto nel 1978 con la legge 833 di istituzione del Sistema Sanitario Nazionale. Fino a ieri mancava all'appello la Medicina di Famiglia, uno dei tanti sinonimi dell'ultima erede della medicina della persona. In questi giorni i giornali stanno rendendo conto dell'affermazione del modello organizzativo, per quel che riguarda la medicina di base, della Medicina di Gruppo: definitivo assorbimento della sanità nel suo complesso all'interno del sistema statale, funzionale al mantenimento del consenso.
Ma proprio nel momento della sua affermazione generale la medicina fascista capitombola, per quello stesso limite che ne ha segnato la nascita: la scarsità delle risorse economiche.
Ecco perciò l'affermarsi ineluttabile di un modello liberista: alla medicina come alleanza medico-paziente (modello cristiano/medioevale), alla medicina come servizio statale, si sostituisce la medicina come prestazione. Il paziente informato e competente richiede una prestazione, quella determinata prestazione. Ecco che arriva perciò a premunirsi e, nel caso che possa in futuro non essere in grado di esprimere la propria volontà, lo fa oggi per allora con le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento.
Ma il problema iniziale rimane: il giudice D'Amico aveva diritto a scegliere la prestazione che preferiva? O aveva il diritto ad una diagnosi corretta? Ma in forza di cosa avrebbe potuto pretendere una diagnosi corretta?
Se il paziente ha il diritto ad ottenere quella qualsivoglia prestazione che a lui aggrada, può pretendere una diagnosi piuttosto che un'altra? Può rivolgersi ad un professionista e chiedere che gli venga diagnosticata (o non diagnosticata) la tale malattia?
In un sistema tradizionale il medico ha dei doveri nei confronti della verità (qualunque volto le voglia attribuire). In un sistema fascista/totalitario ha dei doveri nei confronti dello Stato, a cui appartiene il cittadino e la sua di lui salute. Neppure il cittadino è libero di scegliere una qualsivoglia terapia, perchè la sua salute non è a sua disposizione: non può vendere un rene, un fegato, un occhio, per fare qualche esempio.
Nella medicina liberista, che si è andata affermando, che cosa invece vieta al paziente di chiedere quella e proprio quella diagnosi? Chè l'unica cosa che non può chiedere è una "diagnosi corretta" o esatta, in quanto nessuna diagnosi è mai corretta o esatta. Noi per convenzione cataloghiamo le malattie, ma la neoplasia di quella persona è una alterazione delle cellule di quella persona, alterazione che mai prima si è presentata nella storia e mai più si presenterà. La sua evoluzione potrà avere delle somiglianze con altre patologie osservate nel passato, ma somiglianze del tutto inferenziali, nulla di più.
Ecco perciò il paradosso delle DAT, funzionali a questa medicina. La responsabilità della scelta è sempre comunque e solo del paziente: il medico espone i propri dubbi e va a prendere un caffè in attesa di conoscere le decisioni del malato. Se invece trova una dichiarazione scritta e già pronta, è un fastidio in meno e velocizza il lavoro.

I paladini delle DAT festeggiano la vittoria degli zombie, dei morti viventi, l'affermazione di una medicina demenziale. Laddove una persona di cultura superiore, un magistrato, può incorrere in un errore fatale e chiedere l'eutanasia spaventato da una falsa diagnosi, loro si esaltano perchè a chiunque viene data la possibilità di sbagliare con anni di anticipo e in assenza di qualunque diagnosi, vera o falsa che sia. Possibilità che è responsabilità, che non è un diritto acquisito ma una favola raccontata da un idiota in un accesso di furore.

Ora, il dilemma a cui questa medicina obbliga ogni cittadino è il seguente: posto che la sanità è il capitolo di spesa più rilevante del nostro sistema e che ci impone un carico fiscale che ci toglie il respiro, questo stesso sistema ci toglie la libertà di rivolgersi ad un altro tipo di sanità. Noi tutti siamo prigionieri di questa sanità disumana e disumanizzante, non per colpa propria o degli operatori, ma dei presupposti su cui si mantiene.

Le DAT non sono una libertà in più per chi ne vuole usufruire. Le DAT sono la catastrofe della medicina come la maggior parte della gente l'ha intesa fino all'altro ieri.
E di questa catastrofe nessuno si è degnato di spiegare nulla a nessuno. Nessuno ha avuto la libertà di dire si o no, perchè a nessuno è stato spiegato cosa c'era e cosa c'è in gioco.

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