venerdì 24 maggio 2013

Pornoflauta


Chiudo la bottega e mi avvio al metrò: dietro mi porto l'odore della colla e del legno e la nostalgia del lavoro che amo e che accetto di sospendere solo provvisoriamente per esaurimento fisico e mentale. Ho bisogno di andare a casa, mangiare, lavarmi, riposare.
Lungo i binari umanità varia si ignora reciprocamente, tesa all'unico obiettivo di prendere al volo il primo treno, sciamare per le scale in fretta verso casa. I vagoni non sono eccessivamente affollati ma non per tutti c'è posto a sedere così sto in piedi. Tra i fortunati che sono seduti una ragazza quasi bionda, slavata, senza reggiseno sotto la camicia leggera, il seno piccolo, un po' cadente spinge grandi capezzoli che traspaiono puntigliosi. Legge, distratta, indifferente a tutti, oltre, forse, altéra, assente.

La guardo da lontano, estraneo a estranea; eppure avrei tante cose da chiedere, da raccontare. Un ciao, almeno, un nome, uno sguardo. Penso a quello che le chiederei e penso che tra poco sarò a casa e non chiederò nulla a mia moglie. Forse, se la serata è buona, come è andata la giornata, così, formale. Mangerò la cena che mi avrà lasciato sul tavolo, passandole vicino mentre è assorbita da qualche demenziale programma televisivo.
Ci sono donne che trasudano sesso e non sai perché: non è una donna bellissima, non è nulla di notevole, non è alta, non ha un gran seno, non ha lunghe gambe. I pantaloni a vita bassa lasciano intravvedere un vistoso tatuaggio sul fondo schiena, illeggibile, una di quelle cose estremamente elaborate che vogliono dire proprio quella cosa che solo tu non riesci a capire, tu e qualche altro miliardo di persone, marziani ai suoi occhi.
Di fermata in fermata scivoliamo sotto la città indifferente. Lei si alza e si avvicina all'uscita. Non è proprio la mia fermata, ma la seguo. Non so perchè, la seguo e basta senza un progetto, solo stanco per la giornata, rapito da una curiosità e una voglia di vita che assurda non si rassegna.
Saliamo le scale, io qualche metro dietro, ci infiliamo tra le strade, la gente, le bancarelle, tra negozi tristi. Lei si ferma davanti ad un portone e infila le chiavi nella toppa. Bene, gita finita, penso e mi faccio mentalmente il percorso verso casa.
Ma lei si volta: «Vuoi salire?» mi domanda a bruciapelo. Come un colpo in testa: “una prostituta”, penso deluso. Vorrei dire di no, che ho da fare, ma la seguo, seguo i suoi occhi invitanti, il suo sorriso disarmante e bianchissimo.
Saliamo scale in penombra: gli interni di tutti i palazzi nelle grandi città si somigliano, a meno che non siano di altissima classe, sanno tutti di miseria e precarietà e odori segnano ogni piano. Salendo i gradini ad uno ad uno come li gustasse la prima volta e voltandosi di tanto in tanto si presenta e mi chiede come mi chiamo. Lei è Flavia. Bene, ricevuto. Io mi invento un nome lì per lì, in certi ambienti non ci si presenta mai con la carta di identità, suppongo.
Al quarto piano troviamo una porta aperta e una cascata di luce e voci e musica in sottofondo, di quella new age che fa pensare ad una infatuazione per l'oriente e l'autocoscienza buddista. Lei entra e saluta questo e quello, dietro le vado io.
Oltre l'ingresso c'è una grande stanza con un pavimento in legno, cuscini e coperte sulle pareti, tanti colori con una preferenza per il bordeaux e stracci arcobaleno. Un ragazzo magro e alto come una giraffa è vestito con strisce di cuoio nero, farebbe pensare a quei rituali di femdominismo sado-masochisti se non fosse che chiacchiera tranquillamente con una ragazza acqua e sapone, con una camicetta bianca chiusa fino al colletto di pizzo e una gonna a metà polpaccio, tipo nonna sotto naftalina.
Comincio a capire di essere caduto in una riunione di alternativi. Mi presenta e mi lascia in un angolo perché deve sbrigare qualcosa. Mi guardo attorno: sono tutti ragazzi con almeno dieci o anche venti anni meno di me, a parte un tale con una barba da comunista che fa gli occhi dolci ad una ragazzina con gli anni che potrebbe avere sua nipote e un paio di signore dall'altro lato dai vestiti arcobaleno, truccate pesanti per ingannare l'età, allegre come riviste patinate e odore di profumi e cibi alternativi a metri di distanza. In tutto siamo quindici persone, più o meno.
Flavia torna in slip e si siede contro la finestra.
Come ad un segnale convenuto si siedono tutti in cerchio attorno a lei. La riunione si apre, dice che mi dà il benvenuto e spera che io possa percorrere insieme a loro il mio percorso di liberazione e conoscenza del mio corpo, per liberare le mie energie profonde e fondermi con le radiazioni cosmiche che stanno compresse e represse in fondo ai miei chakra. Poi descrive l'attività della serata: ci spoglieremo, ciascuno secondo la propria sensibilità, e impareremo a darci piacere sussurrandoci parole carine e scambiandoci la frutta da bocca a bocca e spalmandoci oli profumati.
Comincio a preoccuparmi perché la cosa rischia di durare a lungo e dovrò giustificare a mia moglie il ritardo e anche l'odore dell'olio. Va bene, ma quello posso evitarlo, mica sono obbligato. Eppoi domani mattina devo tornare al lavoro e questi da come sono partiti mica è chiaro fino a che ora vogliono tirare tardi.
Sbarbatelli sballati e scoppiati, con tanto buon tempo, che non hanno bisogno di lavorare o anzi al contrario ne avrebbero bisogno e si lamentano perchè sono precari e il lavoro a loro nessuno lo dà. Come se una persona dovesse stare ad aspettare che il lavoro glielo portassero a casa, perché è quello che fanno, ci scommetto. Si lamentano e aspettano, magari mandano curriculum via mail e aspettano e poi dicono che no, è troppo lontano o troppo faticoso o troppo precario.
Il barbone comunista si è spogliato completamente, gli è rimasto solo un perizoma di tela bianca, la pancia cola come gelatina da ogni lato. Anche le due anziane sono completamente nude, una ha un fiore di plastica infilato nella vagina, l'altra due tondini di plastica rossa sopra i capezzoli, modellati come capezzoli ma che dello stesso colore del rossetto e danno all'insieme un chè di Star Trek. Il seno di entrambe scende piatto fin quasi all'ombelico ma fa parte degli esiti della terapia a cui si stanno sottoponendo recuperare la fiducia di sé e l'orgoglio del proprio corpo così come è.
Nessuno dei giovani invece si è spogliato del tutto, i ragazzi meno delle ragazze, mi viene da osservare. Mi torna in mente qualche anno fa quando avevo accompagnato mio figlio a fare sport: dopo ci eravamo lavati nelle docce della palestra ed ero rimasto perplesso a vedere i ragazzi sotto la doccia con i boxer. Mi era rimasta impressa quella scena che mi faceva pensare alle leggende delle nobildonne cattoliche strettamente osservanti che si facevano il bagno vestite nei secoli andati. Non so se la leggenda delle nobildonne abbia un fondamento storico, ma di certo sorprende che i figli dei figli dei fiori non abbiano proseguito nel sentiero della liberazione sessuale ma siano invece tornati indietro. Ci sono spesso indagini sull'età del primo rapporto sessuale in continuo anticipo secondo i ricercatori, ma i giovani che vedo io sono tutt'altro che liberati.
Anche questi fanno fatica a lasciarsi andare, sembrano colpiti da un qualche senso di colpa che io alla loro età non avevo. Quelli, quando io avevo la loro età, erano i tempi di sesso, droga e rock'n roll. Io dalla droga ero sempre stato lontano per una questione di buon senso, la musica a tutto decibel mi irritava, il sesso era più teoria che pratica. In ogni caso non mi facevo molti scrupoli, non avevo difficoltà a spogliarmi, a farmi la doccia in comune per quanti altri ragazze o ragazze ci fossero. Era lo spirito di quegli anni ed è volato via come è giusto che lo spirito faccia lasciando spazio però ad uno vento altro da quello che allora ci si aspettava.
Giovani inibiti e pigri, senza il coraggio di lavorare e di trasgredire, che si nascondono per masturbarsi e per copulare.
Nullafacenti e inconcludenti era il giudizio principale. Inconcludenti sul lavoro come nel sesso, sempre pronti a commiserarsi, incerti su ciò che vogliono e ciò che non vogliono, alla perenne ricerca di qualcuno che dica loro cosa devono fare, per avere la soddisfazione di non farlo e di passare per ribelli con poca fatica.
Vengo messo in coppia con una delle due anziane, quella dei falsi capezzoli. Le devo mettere della panna sulla schiena e leccarla via con la lingua. Vabbè, che schifezza: mi adeguo cercando uno spiraglio per tagliare la corda.
Pian piano i vari pezzi residui di vestiario se ne vanno, Flavia è del tutto nuda e mostra come spalmarsi la panna e accarezzarsi con la frutta sognando paradisi lontani da questo quarto piano metropolitano.
Tutto sommato questa follia ha un senso per questi giovani vanesi e leggeri. Ma dovrebbero trovare ostacoli veri e vera voglia di abbatterli, avventura alla quale mi sembra che queste esperienze non li avvicinino per nulla. La vecchietta lecca a sua volta la panna che mi ha spalmato addosso, avvicinandosi con un sorriso biricchino e forzatamente disinibito all'inguine.
Mi annoio, ho la testa piena di altri pensieri e vorrei dire a tutti quanti che pensassero a guadagnarsi da mangiare con le loro mani invece di perdere tempo.
Verso le undici finalmente qualcuno comincia a rivestirsi. Flavia mi guarda dolce e assente: se voglio tornare, tutti i mercoledì sera avrò l'occasione di liberarmi delle mie scorze, di ritrovare il me stesso rivoluzionario. Non mancherò. Mi accompagna nuda alla porta e mi saluta con un buffetto sulla guancia.
L'aria della notte è carica di idrocarburi e profumi vaghi. Le strade sono sempre piene di auto rabbiose che vanno urgentemente al loro traguardo così stringente, così importante da travolgere chiunque si metta di traverso.
Domani sarà un'altra giornata dura. Flavia leggerà ancora il suo romanzo sul metrò, proseguirà nella sua campagna per la rivoluzione sessuale, mentre io pagherò le mie ricevute bancarie e parlerò con i fornitori e i clienti.

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