L'attuale pandemia sembra stia favorendo il riavvicinamento alla fede di larghi strati della popolazione o perlomeno una espressione più coraggiosa della stessa.
A dir la verità questa esternazione, questo coming out, mi mette a disagio. Non è il cristianesimo che conosco io.
La conversione cristiana che io conosco non è: "perdonami Padre perchè ho peccato". Questo è il figliol prodigo che torna a casa come era partito, convinto che il padre sia solo un ricco egoista, una mucca da mungere.
La conversione cristiana è: convertiti e credi al Vangelo. Alla buona notizia. Credi che tutto è buono e tutto andrà bene. Ringrazia per la vita e per la morte, per la salute e per la malattia, e anche per il coronavirus. Perchè tutto è buono.
Questo è il cristianesimo che conosco io.
Anche la preghiera del papa in piazza San Pietro mi ha messo a disagio. Il cristianesimo che io conosco non è un uomo solo in una piazza deserta, schiacciato dalla forza del destino e del male. Non è la paura per il futuro e l'ignoto. Non è il rimorso per il peccato. Non è anzitutto ricerca di indulgenza e di perdono.
Convertiti e credi al Vangelo. Sei già stato perdonato. Tutto è compiuto. A te resta solo ringraziare e vivere ripensando a quanto ti è accaduto.
E per favore smettila di pensare che il coronavirus sia il male.
Il male è la distanza da Dio. La dimenticanza, la distrazione.
Sia fatta la Tua Volontà.
Questa è la nostra gioia: che la Sua volontà si farà sempre e comunque e nessuno riuscirà mai ad impedirlo. Anche Satana, volente o nolente, dovrà piegarsi a fare la volontà di Dio.
Quando vorrà Dio.
domenica 29 marzo 2020
mercoledì 25 marzo 2020
Un amore che finisce
C'è qualcosa più triste di un amore che finisce nell'odio, nel disprezzo?
Eppure è quasi la norma, a guardarsi attorno, ed è tristissimo.
Ripenso alla perdita dei miei genitori, di alcuni parenti, di alcuni amici.
Eppure è quasi la norma, a guardarsi attorno, ed è tristissimo.
Ripenso alla perdita dei miei genitori, di alcuni parenti, di alcuni amici.
mercoledì 29 gennaio 2020
Invecchiare
Quando una amica ti regala un libro dal titolo "Invecchiare bene è un'arte" di Piero Rattin capisci che è ora di pensarci.
Nel leggere quel libretto però me ne sono uscito piuttosto sconsolato.
Se io mi devo preparare alla vecchiaia sono altri i binari su cui voglio andare.
La saggezza antica ci ha già detto qualcosa: insegnaci a contare i nostri giorni, dice il Siracide, e giungeremo alla sapienza del cuore.
E gli indù dividono la vita in quattro fasi: la giovinezza, da dedicare allo studio. La prima maturità da dedicare al lavoro e alla famiglia. La seconda maturità da dedicare alla politica. E la vecchiaia da dedicare alla filosofia.
La filosofia, che è anzitutto uno sguardo razionale sul reale.
Nel leggere quel libretto però me ne sono uscito piuttosto sconsolato.
Se io mi devo preparare alla vecchiaia sono altri i binari su cui voglio andare.
La saggezza antica ci ha già detto qualcosa: insegnaci a contare i nostri giorni, dice il Siracide, e giungeremo alla sapienza del cuore.
E gli indù dividono la vita in quattro fasi: la giovinezza, da dedicare allo studio. La prima maturità da dedicare al lavoro e alla famiglia. La seconda maturità da dedicare alla politica. E la vecchiaia da dedicare alla filosofia.
La filosofia, che è anzitutto uno sguardo razionale sul reale.
venerdì 28 giugno 2019
Nostalgia 1
Cosa stiamo perdendo
Attendendo distanti
Questo tramonto?
Cosa perdiamo
Lasciandoci sorprendere
Soli dall'alba?
Soli comunque
Anche nella folla
Di folli amanti.
Cosa stiamo perdendo
Cuore mio, piccola mia?
Quel tesoro
Che dona il perdono,
Quel tesoro di gioia
Cuore mio, piccola mia,
Se ne va consumato
Da inutili, stupidi rancori.
Attendendo distanti
Questo tramonto?
Cosa perdiamo
Lasciandoci sorprendere
Soli dall'alba?
Soli comunque
Anche nella folla
Di folli amanti.
Cosa stiamo perdendo
Cuore mio, piccola mia?
Quel tesoro
Che dona il perdono,
Quel tesoro di gioia
Cuore mio, piccola mia,
Se ne va consumato
Da inutili, stupidi rancori.
domenica 22 aprile 2018
Non ci abbandonare nelle mani dei vescovi
Una amica che non ha mai letto la Bibbia mi dice che, se gliela regalo, la legge.
Le ho perciò acquistato La Bibbia - Via Verità e Vita, ed.San Paolo 2012, Versione Ufficiale della Conferenza piscopale Italiana.
Ovviamente sono preoccupato del politically correct, so bene che ci saranno alcune "correzioni". Vado perciò a colpo sicuro su Mt 6, 13: "e non abbandonarci alla tentazione".
Cvd (come volevasi dimostrare): ormai il neoterismo ha permeato la chiesa fin nelle midolla, non è una sorpresa, va bene.
La sorpresa viene dalla nota a fianco: "<Non ci indurre in tentazione> è traduzione più letterale del greco. L'espressione di forte impronta semitica, vuole salvaguardare il dominio di Dio anche sul male, così da evitare ogni dualismo, ma vuole pure evocare la tentazione-prova: il senso, perciò, è quello dell'implorazione a Dio perchè non ci esponga alla tentazione del male e della prova e comunque, in esse, sempre ci sostenga. Perciò si preferisce rendere: <Non abbandonarci alla tentazione>".
Cioè, fatemi capire: siete coscienti di aver alterato il Vangelo e di averlo adattato alla vostra interpretazione?
Cioè, signori vescovi,è questo che volete dire?
Ma quali passi adatterete domani alla vostra interpretazione con lo stesso criterio?
Le ho perciò acquistato La Bibbia - Via Verità e Vita, ed.San Paolo 2012, Versione Ufficiale della Conferenza piscopale Italiana.
Ovviamente sono preoccupato del politically correct, so bene che ci saranno alcune "correzioni". Vado perciò a colpo sicuro su Mt 6, 13: "e non abbandonarci alla tentazione".
Cvd (come volevasi dimostrare): ormai il neoterismo ha permeato la chiesa fin nelle midolla, non è una sorpresa, va bene.
La sorpresa viene dalla nota a fianco: "<Non ci indurre in tentazione> è traduzione più letterale del greco. L'espressione di forte impronta semitica, vuole salvaguardare il dominio di Dio anche sul male, così da evitare ogni dualismo, ma vuole pure evocare la tentazione-prova: il senso, perciò, è quello dell'implorazione a Dio perchè non ci esponga alla tentazione del male e della prova e comunque, in esse, sempre ci sostenga. Perciò si preferisce rendere: <Non abbandonarci alla tentazione>".
Cioè, fatemi capire: siete coscienti di aver alterato il Vangelo e di averlo adattato alla vostra interpretazione?
Cioè, signori vescovi,è questo che volete dire?
Ma quali passi adatterete domani alla vostra interpretazione con lo stesso criterio?
lunedì 4 settembre 2017
Cattiveria
La logica è che io sono buono e faccio cose buone, gli altri (o almeno alcuni altri) sono cattivi e fanno cattiverie.
Ma il presupposto base su cui ogni valutazione di valore delle mie e altrui azioni così come della mia e altrui bontà, è la coscienza. Cioè, o io sono cosciente di ciò che sono io, e forse di conseguenza di ciò che sono gli altri, o non sono cosciente di nulla e i miei giudizi sono parole al vento.
Ora: la coscienza. Cos'è questa cosa di cui ciascuno si ritiene portatore a priori e senza alcuna necessità di verifica?
La coscienza per essere ha bisogno di almeno due pre-requisiti.
Primo: non c'è coscienza senza coscienza del Giudizio. Se l'io non è fermamente convinto che prima o poi dovrà rispondere ad un giudice che non ammette imbrogli, falsità, sotterfugi, tangenti, un giudice onnisciente e infallibile i cui criteri non sono i nostri criteri, che non ha alcuna ragione per compatire e/o scusare i nostri limiti, allora l'io non è cosciente. Non c'è nulla da fare. Perchè l'io dovrebbe vigilare sulle proprie azioni e motivazioni se alla fine, passata la festa gabbato il santo? Se chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, perchè scrutare le proprie azioni con occhio vigile e critico?
Secondo: non c'è coscienza senza coscienza della possibilità dell'inganno. Cioè: se l'io ritiene che qualsiasi cosa gli passi per la testa è buona e va perseguita, se il criterio ultimo è il proprio sentimento (me la sento, non me la sento) che contenuto dovrebbe o potrebbe mai avere la coscienza? Può tranquillamente dormire, va tutto bene. Nelle varie tradizioni questa possibilità ha assunto diversi nomi. Nel buddismo è l'ignoranza, nell'induismo è l'illusione, nelle religioni monoteiste è satana. Per Sant'Ignazio di Loyola si tratta di esercitarsi quotidianamente a discernere nei propri pensieri quelli che vengono da Dio e quelli che vengono dal Maligno. La coscienza acquista quindi quasi il ruolo del giudice e deve vegliare costantemente per scegliere tra i vari pensieri quelli a cui dare spazio e quelli a cui resistere.
Ma la stragrande maggioranza della gente vive senza l'idea di un Giudizio. Badiamo bene che non si tratta necessariamente di una prospettiva cattolica: l'essenziale è che una azione non è buona se io riesco a convincere me stesso e gli altri che è buona. Il rigore morale di alcuni laici non ha nulla da invidiare a quello di molti cattolici, intendiamoci. Ma il problema non è in ciò che ciascuno fa e dice, il problema sta in una cultura che nega e deride la possibilità che il passato non sia passato e che dovremo rispondere di ogni singola azione, anche di quelle note solo a noi stessi.
Così come la maggioranza non valuta con alcuno spirito critico le proprie emozioni e le proprie decisioni. Ciò che sento io e penso io è giusto a prescindere. Ora, questa sicumera, questo "sonno della ragione" è particolarmente patetico perchè vedi costoro passare con la massima tranquillità da un errore all'altro, soffrendo per questo accumularsi di errori e attribuire la propria sofferenza alla "cattiveria"! altrui.
Verrebbe perciò da scrivere sui muri: non illuderti, prima o poi dovrai rispondere di ogni singola azione e non tutto ciò che ti sembra bello e giusto lo è davvero.
Ma il presupposto base su cui ogni valutazione di valore delle mie e altrui azioni così come della mia e altrui bontà, è la coscienza. Cioè, o io sono cosciente di ciò che sono io, e forse di conseguenza di ciò che sono gli altri, o non sono cosciente di nulla e i miei giudizi sono parole al vento.
Ora: la coscienza. Cos'è questa cosa di cui ciascuno si ritiene portatore a priori e senza alcuna necessità di verifica?
La coscienza per essere ha bisogno di almeno due pre-requisiti.
Primo: non c'è coscienza senza coscienza del Giudizio. Se l'io non è fermamente convinto che prima o poi dovrà rispondere ad un giudice che non ammette imbrogli, falsità, sotterfugi, tangenti, un giudice onnisciente e infallibile i cui criteri non sono i nostri criteri, che non ha alcuna ragione per compatire e/o scusare i nostri limiti, allora l'io non è cosciente. Non c'è nulla da fare. Perchè l'io dovrebbe vigilare sulle proprie azioni e motivazioni se alla fine, passata la festa gabbato il santo? Se chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, perchè scrutare le proprie azioni con occhio vigile e critico?
Secondo: non c'è coscienza senza coscienza della possibilità dell'inganno. Cioè: se l'io ritiene che qualsiasi cosa gli passi per la testa è buona e va perseguita, se il criterio ultimo è il proprio sentimento (me la sento, non me la sento) che contenuto dovrebbe o potrebbe mai avere la coscienza? Può tranquillamente dormire, va tutto bene. Nelle varie tradizioni questa possibilità ha assunto diversi nomi. Nel buddismo è l'ignoranza, nell'induismo è l'illusione, nelle religioni monoteiste è satana. Per Sant'Ignazio di Loyola si tratta di esercitarsi quotidianamente a discernere nei propri pensieri quelli che vengono da Dio e quelli che vengono dal Maligno. La coscienza acquista quindi quasi il ruolo del giudice e deve vegliare costantemente per scegliere tra i vari pensieri quelli a cui dare spazio e quelli a cui resistere.
Ma la stragrande maggioranza della gente vive senza l'idea di un Giudizio. Badiamo bene che non si tratta necessariamente di una prospettiva cattolica: l'essenziale è che una azione non è buona se io riesco a convincere me stesso e gli altri che è buona. Il rigore morale di alcuni laici non ha nulla da invidiare a quello di molti cattolici, intendiamoci. Ma il problema non è in ciò che ciascuno fa e dice, il problema sta in una cultura che nega e deride la possibilità che il passato non sia passato e che dovremo rispondere di ogni singola azione, anche di quelle note solo a noi stessi.
Così come la maggioranza non valuta con alcuno spirito critico le proprie emozioni e le proprie decisioni. Ciò che sento io e penso io è giusto a prescindere. Ora, questa sicumera, questo "sonno della ragione" è particolarmente patetico perchè vedi costoro passare con la massima tranquillità da un errore all'altro, soffrendo per questo accumularsi di errori e attribuire la propria sofferenza alla "cattiveria"! altrui.
Verrebbe perciò da scrivere sui muri: non illuderti, prima o poi dovrai rispondere di ogni singola azione e non tutto ciò che ti sembra bello e giusto lo è davvero.
giovedì 6 luglio 2017
Valdo
Il 10 Agosto feci un
sogno che mi cambiò la vita.
Ogni volta che lo
dico raccolgo sorrisi di compiacimento e ironici incoraggiamenti:
racconta.
Capiamoci, ero un
manager, ho fatto studi scientifici e solo scientifici, non ho alcuna
propensione per il romanticismo o il sentimentalismo o lo
spiritualismo. Per capire che non si tratta di nulla di tutto questo
bisogna partire dal 10 luglio.
Quel giorno era un
venerdì, avevo lasciato la città torrida e mi ero rifugiato in una
fresca pensione di montagna.
Più del caldo
fuggivo però la disperazione.
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