lunedì 4 settembre 2017

Cattiveria

La logica è che io sono buono e faccio cose buone, gli altri (o almeno alcuni altri) sono cattivi e fanno cattiverie.
Ma il presupposto base su cui ogni valutazione di valore delle mie e altrui azioni così come della mia e altrui bontà, è la coscienza. Cioè, o io sono cosciente di ciò che sono io, e forse di conseguenza di ciò che sono gli altri, o non sono cosciente di nulla e i miei giudizi sono parole al vento.
Ora: la coscienza. Cos'è questa cosa di cui ciascuno si ritiene portatore a priori e senza alcuna necessità di verifica?
La coscienza per essere ha bisogno di almeno due pre-requisiti.
Primo: non c'è coscienza senza coscienza del Giudizio. Se l'io non è fermamente convinto che prima o poi dovrà rispondere ad un giudice che non ammette imbrogli, falsità, sotterfugi, tangenti, un giudice onnisciente e infallibile i cui criteri non sono i nostri criteri, che non ha alcuna ragione per compatire e/o scusare i nostri limiti, allora l'io non è cosciente. Non c'è nulla da fare. Perchè l'io dovrebbe vigilare sulle proprie azioni e motivazioni se alla fine, passata la festa gabbato il santo? Se chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, perchè scrutare le proprie azioni con occhio vigile e critico?
Secondo: non c'è coscienza senza coscienza della possibilità dell'inganno. Cioè: se l'io ritiene che qualsiasi cosa gli passi per la testa è buona e va perseguita, se il criterio ultimo è il proprio sentimento (me la sento, non me la sento) che contenuto dovrebbe o potrebbe mai avere la coscienza? Può tranquillamente dormire, va tutto bene. Nelle varie tradizioni questa possibilità ha assunto diversi nomi. Nel buddismo è l'ignoranza, nell'induismo è l'illusione, nelle religioni monoteiste è satana. Per Sant'Ignazio di Loyola si tratta di esercitarsi quotidianamente a discernere nei propri pensieri quelli che vengono da Dio e quelli che vengono dal Maligno. La coscienza acquista quindi quasi il ruolo del giudice e deve vegliare costantemente per scegliere tra i vari pensieri quelli a cui dare spazio e quelli a cui resistere.
Ma la stragrande maggioranza della gente vive senza l'idea di un Giudizio. Badiamo bene che non si tratta necessariamente di una prospettiva cattolica: l'essenziale è che una azione non è buona se io riesco a convincere me stesso e gli altri che è buona. Il rigore morale di alcuni laici non ha nulla da invidiare a quello di molti cattolici, intendiamoci. Ma il problema non è in ciò che ciascuno fa e dice, il problema sta in una cultura che nega e deride la possibilità che il passato non sia passato e che dovremo rispondere di ogni singola azione, anche di quelle note solo a noi stessi.
Così come la maggioranza non valuta con alcuno spirito critico le proprie emozioni e le proprie decisioni. Ciò che sento io e penso io è giusto a prescindere. Ora, questa sicumera, questo "sonno della ragione" è particolarmente patetico perchè vedi costoro passare con la massima tranquillità da un errore all'altro, soffrendo per questo accumularsi di errori e attribuire la propria sofferenza alla "cattiveria"! altrui.
Verrebbe perciò da scrivere sui muri: non illuderti, prima o poi dovrai rispondere di ogni singola azione e non tutto ciò che ti sembra bello e giusto lo è davvero.

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